• Editoriale
  • Abbiamo smarrito l’umiltà

    In una società in cui non sono più affermati e soprattutto vissuti i valori dell’uguaglianza, della fraternità, della condivisione e dell’amore è davvero molto difficile che possa abitare l’umiltà.

    Soprattutto nella cultura neoliberista occidentale è sempre più raro che le diverse agenzie educative dedichino un qualche impegno nel formare i giovani ad una tale virtù che sembra ormai fuori dagli obiettivi istruttivi della famiglia, della scuola e delle formazioni politiche; la preoccupazione piuttosto è quella di orientare tutti verso il successo individuale, la competizione o l’agonismo esasperato con la presunzione del raggiungimento della perfezione personale.

    La simbologia di tale orientamento culturale è rintracciabile facilmente nei talk show in cui, quando non si riesce ad avere lo status di ospiti d’eccezione senza contradditorio, l’atteggiamento prevalente raramente è il dialogo pacato mentre sempre più si assiste alla voglia di prevaricazione.

    Sui social network poi l’egocentrismo e l’affermazione di sé spingono sempre più verso forme di esibizionismo tenute molto spesso con un linguaggio irrispettoso e talora addirittura offensivo nei confronti d’interlocutori critici.

    Non è generalizzabile, ma è molto abituale ritrovare il complesso di superiorità ed il narcisismo soprattutto nelle persone istruite che talora si sentono ” vestali della cultura” e nell’arrivismo economico di quanti si sono arricchiti con metodi molto discutibili e che si ritengono degli “arrivati” con un senso di onnipotenza.

    Domina così la voglia palese di mostrare ed esibire le proprie conoscenze, il proprio sapere o il particolare status sociale facendone un emblema di orgoglio personale di chi vuole affermare agli altri di esistere, di essere importante e superiore a chiunque.

    È chiaro che l’umiltà mal si concilia con un tale modo di pensare e di agire.

    Più che coltivare la modestia ed il rispetto per gli altri, oggi in generale si preferisce sentirsi liberi, senza limiti, illusi di essere grandi, sapienti e potenti, ma del tutto ignari sulla necessità di un’interconnessione con gli altri e con la fragilità della natura umana cui apparteniamo.

    L’umiltà pertanto sembra desueta in una società che ci educa e ci spinge a prevalere sugli altri facendoci dimenticare che un tale atteggiamento di orgoglio chiude il dialogo ed il rapporto costruttivo con l’altro.

    È chiaro che un valore come l’umiltà è del tutto estraneo in una società in cui nei singoli prevale l’abitudine ad operare per fini ed interessi che non sono quelli della collettività, ma del tutto individuali ed egocentrici.

    Per ricostruire un  rapporto diverso con la comunità in cui si vive ed opera occorre allora sicuramente un cambiamento culturale ed un diverso approccio alla vita che possono ottenersi solo in un processo educativo completamente rivoluzionato.

    Dev’essere chiaro che una persona umile non è debole e neppure disponibile alla sottomissione ed all’umiliazione; vive anzi con la certezza delle sue capacità e delle doti acquisite, ma è conscio anche dei propri limiti e li accetta senza esaltarsi, non dimostra sicurezze eccessive ed un orgoglio sconsiderato che porta perfino a disprezzare gli altri fino ai casi estremi della xenofobia.

    Abbiamo anche bisogno della consapevolezza che l’umiltà, discrimine tra il complesso di inferiorità ed il narcisismo, non è una virtù innata, ma si acquisisce psicologicamente non solo con l’educazione, ma anche con l’emulazione di soggetti che l’hanno praticata a livelli di forte autenticità; sono essi infatti, più delle svariate definizioni sul lemma, a guidarci verso l’acquisizione dei caratteri relativi ad un comportamento consono con tale qualità trans personale.

    I giovani vanno guidati a riconoscere i caratteri dell’umiltà imparando a praticarla per uscire da atteggiamenti di prevaricazione sugli altri e promuovere invece gesti di collaborazione solidale per una crescita comune.

    La radice etimologica di umiltà è nel termine latino “humus” inteso come terra da cui tutti traiamo origine.

    Conservare il nostro concetto di finitezza e d’interdipendenza con la natura e con gli altri esseri viventi può aiutarci a capire che la virtù dell’umiltà è una necessità biologica e psicologica prima ancora che etica e consiste nella consapevolezza di non sentirsi autosufficienti in assoluto, ma limitati nella nostra piccolezza in relazione alla complessità della vita, del sapere, della scienza e della tecnica rispetto a cui tutte le competenze personali sono limitate e dunque necessitano dell’integrazione con quelle altrui.

    La cultura cristiana in questa direzione ha offerto un contributo importante di riflessione, di educazione e di testimonianza a partire dallo stesso Gesù Cristo fino soggetti che ne sono stati il simbolo vivente come Francesco d’Assisi, Gandhi, Martin Luther King o Madre Teresa di Calcutta solo per fare qualche esempio.

    Credenti o meno occorre stabilire a nostro avviso una relazione rigenerante con tale pensiero nella coscienza che l’umiltà, lungi da essere un sintomo di debolezza, rappresenta al contrario un segno di maturità che può permetterci di acquisire un abito mentale in grado di darci serenità, equilibrio e capacità di relazionarci costruttivamente con gli altri.

     

     

     

     

     

     

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