Non era una ritirata. Era una disfatta completa, su più fronti. Era la fine della sanità molisana, per tutti, pubblico e privato. Era la totale negazione di quei principi di collaborazione e sussidiarietà che, per norma costituzionale, dovrebbero reggere un sistema sanitario che orgogliosamente è definito nazionale. In una logica, come già detto, di attendismo involutivo, ben condita da invidie e lotte di parrocchia, l’intervento dei commissari della Sanità, in cui anche il sottoscritto confidava per delle soluzioni basate su criteri clinici e scientifici doverosamente condivisibili, si è tradotto in un completo smantellamento del sistema sanitario regionale. Andiamo con ordine.
Il settore pubblico è stato depotenziato nella sua principale mansione di erogatore di servizi di urgenza, svendendo le reti dell’emergenza ad altre aziende. Passino gli ospedali di comunità, eccezione fatta Agnone, ma creare un ospedale regionale di riferimento di fatto senza le attività di cui necessiterebbe imprescindibilmente per soccorrere i cittadini è un controsenso abominevole.
L’accordo di confine, che nella semantica racchiude la necessità di condividere delle soluzioni tra due parti, di fatto si è tradotto in un ingresso a gamba tesa della Asl di Chieti sul basso Molise al fine di consolidare i risultati raggiunti con il piano di ristrutturazione che necessitano di numeri.
Infine l’emergenza, il 118, le reti di patologia. Tutto il settore è fermo da 20 anni. Non solo per mezzi, procedure e dotazioni, quanto per tempistica di accesso alle cure. E la soluzione è probabilmente ancora peggiore del male. Si, perché nonostante si possa anche comprendere che il Dea di riferimento per il trauma sia a Napoli, le tempistiche di arrivo del paziente al sito di cura sono prevedibilmente fuori da ogni linea guida e raccomandazione. Guida viamichelin alla mano. Immaginiamo che ci sia un grave incidente in alto Molise con un politrauma. Nel giro di un’ora il paziente dovrebbe arrivare in una sala operatoria a Napoli. Non semplicemente accedere in ospedale, avete letto bene, deve essere pronto in sala operatoria. Viene pertanto spontaneo chiedere ai commissari se le tempistiche previste dal piano sono congrue, considerando che la “trafila” di gestione del caso prevede l’intervento del sistema 118 locale (su gomma), la richiesta di aiuto all’Abruzzo per l’invio dell’elicottero che, ricordo, allo stato attuale vola solo di giorno, richiesta di disponibilità all’ospedale ricevente e relative comunicazioni, magari con passaggio diagnostico in un nosocomio regionale. Avendo lavorato diversi anni nel sistema, posso ipotizzare la quasi certa impossibilità del rispetto delle tempistiche raccomandate che non hanno un mero valore “estetico” bensì costituiscono lo spartiacque tra la vita e la morte.
E di notte? Si va su strada. Quindi da Agnone, ad esempio, il paziente dovrebbe arrivare a Napoli in un’ora, in una sorta di gran premio delle ambulanze con inevitabili pit-stop in almeno un nosocomio regionale, reperimento di mezzo e personale per il trasporto, tempi per diagnostica e comunicazioni etc.
Andando oltre il trauma, le soluzioni trapelate per la rete dell’infarto e dell’ictus il quadro non è dei migliori: vengono pressoché ignorate le competenze di altissimo livello di Neuromed e Cattolica che, pur insistendo geograficamente sul territorio, rientrano solo marginalmente nelle reti. Chi, come il sottoscritto, immaginava un sistema di integrazione e collaborazione tra pubblico e privato per l’erogazione di prestazioni a livello di quanto richiesto per un Dea di secondo livello può continuare a sognare serenamente perché la realtà sarà ben diversa. La riduzione dell’extrabudget, inoltre, in una logica tutta Tafazziana (il personaggio della trasmissione “Mai dire Gol” che si batteva le pudenda con una bottiglia di minerale) ridurrà il “guadagno” che consente alla regione di ripagare con mobilità attiva la passiva e, a breve, aumenterà il disavanzo sulla sanità che, a quel punto, renderà impossibile qualsiasi spesa e investimento sul sistema.
E se la torta non vi sembrasse ben confezionata, arriva la ciliegina: Agnone ospedale di comunità. Completamente scomparsa dall’accordo di confine la possibilità di sopravvivenza del nosocomio altomolisano quale contropartita della collaborazione tra Termoli e Vasto. Insomma, un accordo tutto dare e nulla avere, una spoliazione o, chiedendo venia alle suscettibilità che sicuramente si irriteranno, un furto.
Ma quello che davvero rende queste scelte inaccettabili sono le logiche che si presume (nonostante in più occasioni le dichiarazioni di taluni abbiano confermato le ipotesi) ci siano dietro: un pregiudizievole ed incomprensibile lotta al privato convenzionato, la sterile applicazione del decreto Balduzzi senza la possibilità di esaminare quantomeno delle deroghe che in altre regioni sono consentite e, sull’emergenza, il non voler consapevolmente rispettare le tempistiche e le linee guida del settore con la scientifica conseguenza di un danno per la cittadinanza.
Tralasciando per un attimo la medicina di cui quotidianamente mi occupo sul “campo di battaglia” faccio una proposta: ma se i cittadini molisani devono godere di meno servizi, non possono pagare meno tasse? Almeno avrebbero le risorse per acquistare una buona assicurazione sulla salute perché, a breve, ne avranno davvero bisogno.
Vittorio Sanese da PrimopianoMolise