Fuoco, dentro. Margine al centro. E’ questo lo slogan, ormai noto, scelto per accompagnare e lanciare la candidatura di Agnone a Capitale Italiana della Cultura 2026. Ma siccome oltre alle parole, servono, e si sa che sono molto più penetranti e potenti, anche le immagini, ecco che l’amministrazione comunale di Agnone lancia pubblicamente il logo che accompagna la candidatura. La scritta agnone, tutta in stampatello minuscolo, di colore nero, fatta eccezione per la lettera “o” che è rossa e sembra richiamare, ad una prima occhiata, le macchie di vino lasciate dai bicchieri, incastonata ad una specie di lettera “C” in maiuscolo, ma rovesciata.
Un logo che ha lasciato più di qualcuno scettico, perché poco chiaro forse, ma l’alternativa sarebbe stata la banalità di una ‘ndoccia, di una tina o di una campana o un caciocavallo, con tutto il dovuto rispetto per i simboli iconici di Agnone. Il lancio del logo, ideato e realizzato dall’architetto e grafico Valentina Musilli, ha prodotto, anche sui social, il solito chiacchiericcio tra sedicenti esperti, quelli che magari non sanno fare neanche la “O” con il bicchiere, ma ora si spacciano per critici d’arte figurativa contemporanea. Per fugare ogni dubbio il sindaco Daniele Saia è stato costretto a rendere nota «la spiegazione di simboli e colori», pubblicando direttamente una delle pagine del dossier appena inviato all’attenzione della commissione esaminatrice.
«Un logo denso. – si legge nel titolo della pagina in questione – Il fuoco è Vita: dalle origini al futuro». E segue ovviamente la spiegazione. «Il pittogramma è composto da tre elementi che, uniti, richiamano l’essenza di Agnone, il suo carattere vigoroso, tra passato, presente e futuro. Una forza Vitale, creativa, coraggiosa, passionale (elemento fuoco), ha animato il passato di Agnone (lettera “V” dell’alfabeto osco attraversata dal fuoco) che ora, in un presente armonico, a misura d’uomo e che si rigenera nel rispetto continuo di sé e del suo ambiente (cerchio), intende protrarsi verso il futuro (cerchio aperto che oltrepassa la lettera osca)». Si apprende, dunque, che la “macchia di vino” in realtà è un fuoco, quello che richiama i riti ultramillenari e apotropaici della ‘Ndocciata, e che la “C” capovolta è in realtà una lettera, ma non del nostro alfabeto, bensì di quello dei nostri padri Sanniti; è infatti la “V” in lingua osca.
«È la lettera osca che sta per “V”, vita, forza, slancio vitale e simbolicamente inserisce l’elemento passato nel cerchio di fuoco che resta aperto verso il futuro» conferma l’antropologa Letizia Bindi, che ha coordinato il team di studiosi ed esperti che materialmente ha prodotto il dossier inviato a Roma per perfezionare la candidatura di Agnone a Capitale della cultura per il 2026. Nulla viene aggiunto, non ufficialmente almeno, ma probabilmente in quella lettera c’è il richiamo al nome “Viteliú”, termine osco, appunto, da cui derivò la parola latina Italia. L’idea stessa di Italia, la prima embrionale idea di nazione, è nata proprio nell’Alto Sannio, tra queste montagne abitate dai pastori guerrieri che osarono opporsi e resistere all’arroganza del potere di Roma, liberi e fieri.
«Nella versione principale a colori, – si legge ancora nel dossier – il logo è bicromatico: per evocare i cromatismi di Agnone, si abbinano il colore ecrù, tinta per definizione grezza e cruda, ma anche luminosa, a richiamo sia della terra che dei metalli, e il colore scarlatto, rosso intenso tendente lievemente all’arancione, evocativo sia di fuoco e passione che di energia e positività, ovvero quel fermento che da sempre anima Agnone». E la professoressa Bindi aggiunge: «L’ocra richiama la terra e i metalli, il rosso il fuoco che è l’elemento centrale del dossier in tutte le sue declinazioni».