Un pomeriggio qualsiasi nei pressi di via San Rocco a Vasto (CH). Una simpatica famigliola di cinghiali si ciba nelle vicinanze dei cassonetti, praticamente in mezzo alle case. Non più il “re del bosco”, fiero ungulato selvatico, ma una sorta di topo di grosse dimensioni che ha infestato tutto il territorio e vive tranquillamente in ambiente cittadino, perché è onnivoro, mangia praticamente qualsiasi cosa, e i rifiuti degli umani sono più semplici da trovare, una immensa risorsa trofica.
Cinghiali ovunque nel Vastese e nel Chietino e in particolare lungo la fascia costiera, quella considerata, giustamente, «non vocata» alla presenza degli ungulati. Proprio in quella zona, per un paradosso solo apparente, si rifugia buona parte della popolazione di cinghiali d’Abruzzo. Scesi dai monti verso la costa, dove è più facile trovare cibo, i cinghiali hanno trovato una sorta di oasi felice data l’abbondanza di riserve, parchi e parchetti dove il prelievo con armi da fuoco è praticamente precluso.
Da qualche giorno è chiusa anche la caccia collettiva al cinghiale, la cosiddetta braccata, che in trenta e più anni ha incontrovertibilmente contribuito a creare il problema cinghiale, invece di contribuire a risolverlo. La letteratura scientifica in materia è ben nota e abbondante: nessuna selettività degli abbattimenti, destrutturazione dei branchi e le popolazioni che inevitabilmente aumentano, esponenzialmente, in ragione della disponibilità di cibo.
Lo ha spiegato chiaramente l’Ispra perché la braccata non funziona: «modifica la struttura sociale e genetica delle popolazioni, modifica il comportamento riproduttivo delle popolazioni, favorendo la produttività delle femmine; rappresenta una forma di disturbo ambientale rilevante sia per il cinghiale sia per le specie non target; favorisce il rischio di frammentare i gruppi familiari (poiché difficilmente permettono un tiro preciso e selettivo su animali in fuga, soprattutto se inseguiti da segugi), provocando un allontanamento incontrollato dei cinghiali; favorisce una maggior mobilità dei cinghiali verso aree meno disturbate (nei pressi di ambiti urbanizzati, nelle zone agricole più antropizzate, o nei diversi e numerosi Istituti di protezione disseminati per il territorio), dove aumenta il rischio di danni, di incidenti stradali e di diffusione di malattie infestive ed infettive portate dalla specie».
Per questi motivi, dice Ispra e ne converrebbe anche un idiota, «la caccia collettiva in braccata, non ha dimostrato efficacia nel contenere né le presenze di cinghiali né i danni da questi causati là dove è stata impropriamente utilizzata per effettuare interventi di controllo».
Più chiaro di così.
La braccata è ferma per legge fino al prossimo autunno, ma al momento risultano ferme anche le attività correlate che invece l’Ispra considera efficaci in funzione limitante delle popolazioni di cinghiali, cioè la caccia di selezione e il controllo. Sempre l’Ispra, nei giorni scorsi, ha scritto alla Regione Abruzzo invitandola a «incentivare l’attuazione della caccia di selezione in tutto il territorio».
Dalla Regione al momento nessun segnale. Silenzio assoluto anche dagli Atc e ovviamente tacciono anche le associazioni venatorie, da sempre prone ai desiderata delle squadre di cinghialai, migliaia di tessere.
Intanto a Vasto e nelle altre città della costa adriatica si continuano a scattare foto come quella pubblicata in alto.
Francesco Bottone
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