La Peste Suina Africana (PSA), che sarebbe più corretto chiamare peste dei cinghiali, costituisce un rischio reale per gli allevatori di suini, come anche per chi alleva maiali ad uso domestico, e per questo vanno prese tutte le misure di sicurezza possibili per evitare il rischio di una sua diffusione anche nella nostra regione. Questo quanto emerso nel corso dell’incontro, organizzato da Coldiretti Molise e tenutosi nel Salone della Camera di Commercio del Molise ad Isernia.
All’incontro, aperto ad imprenditori agricoli e zootecnici, hanno preso parte, oltre al Direttore regionale di Coldiretti Molise, Aniello Ascolese, anche Guerino Capaldi, Responsabile Fauna della Regione Molise, ed il veterinario Antonio Liberatore, che hanno collaborato alla redazione del PIANO REGIONALE PER L’ERADICAZIONE DELLA PESTE SUINA AFRICANA. «Abbiamo ritenuto di organizzare questo incontro – ha detto il direttore Ascolese in apertura dei lavori – per fare maggiore chiarezza sull’argomento e indicare agli imprenditori una serie di buone norme di comportamento, oggi indispensabili ad arginare il rischio di diffusione della PSA e dunque difendere le proprie aziende da ingentissimi danni economici che ne scaturirebbero».
La PSA, malattia trasmissibile dai cinghiali ai maiali domestici, non è contagiosa né dannosa per l’uomo ma, qualora si diffondesse causerebbe un vero e proprio tsunami per l’economia del territorio. «Per la PSA – ha spiegato il dott. Liberatore – non esiste un vaccino in quanto il virus non genera anticorpi, dunque l’unico modo per combatterla è arginare al massimo il rischio di diffusione». I maggior diffusori del virus sono i cinghiali che possono muoversi liberamente sul territorio. «Per questo – ha aggiunto Liberatore – la prima azione da porre in essere è l’abbassamento del loro numero».
In Molise vi è una popolazione stimata di cinghiali in oltre 40mila esemplari, 9 per chilometro quadrato, a fronte dei due previsti per il mantenimento sostenibile dell’ecosistema. Occorrerebbe dunque, come indicato dal Commissario Straordinario per la PSA, Angelo Ferrari, la diminuzione dell’80 % della popolazione attuale; ciò consentirebbe di abbassare drasticamente il rischio di diffusione della malattia e nel contempo solleverebbe le aziende agricole dal gravissimo problema della devastazione dei campi da parte di questi selvatici.
«Per scongiurare il rischio di diffusione – ha inoltre aggiunto Liberatore – servono comportamenti responsabili: massima igiene nelle stalle e controlli accurati durante le fasi della movimentazione di capi. Se la PSA è stata contenuta fino ad oggi – ha precisato il professionista – è infatti grazie alla grande attenzione usata per evitare i contagi».
Ma la gestione del problema è molto più complessa dal momento che questa malattia può essere diffusa anche da uccelli, volpi ed altri predatori necrofagi (ovvero che mangiano le carcasse di animali morti, ndr) oltre che da zecche ed insetti emofagi (che succhiano il sangue, ndr). «La prima cosa da fare, qualora si rinvenisse un cinghiale morto – ha spiegato Guerino Capaldi – è non avvicinarsi alla carcassa ma avvisare subito il Servizio Veterinario della Asl che provvederà a rimuoverla ed effettuare gli accertamenti sanitari per verificare la presenza o meno del virus nell’animale».
Nel caso in cui l’animale rinvenuto risultasse positivo alla PSA l’area verrebbe isolata nel raggio di 10 km; si procederebbe all’abbattimento di tutti i suini presenti in allevamenti, tanto intensivi che domestici, con una evidente drammatica ricaduta economica per le aziende. Ma non è tutto: l’area isolata verrebbe interdetta anche per la raccolta di funghi, tartufi, castagne e attività connesse al turismo come ad esempio il trekking, fino all’emanazione di una nuova ordinanza di cessato allarme. Sempre nell’area in questione sarebbe vietato l’esercizio venatorio tradizionale che verrebbe sostituito con l’intervento dei selecacciatori, di recente formati in regione grazie ad un apposito corso organizzato da Coldiretti, i quali procederebbero all’abbattimento selettivo dei cinghiali. Appare quindi evidente il rischio altissimo per l’intera economia dei territori.