Commercializzazione della fauna selvatica, l’Abruzzo prenda esempio da Pistoia.
La Provincia e l’Atc attivano i primi centri di raccolta per ungulati. Dino Pepe dovrebbe semplicemente copiare quella iniziativa.
Dal 1° gennaio 2016 in Provincia di Pistoia saranno operativi i primi quattro centri di raccolta per ungulati, due in montagna e due in pianura, ai margini est e ovest del territorio; da pochi giorni sono inoltre a disposizione più di venti cacciatori formati in materia di igiene e sanità, abilitati a trattare la carne di selvaggina.
Il progetto Filiera Selvatica, curato dalla D.R.E.Am-Italia nella persona di Lilia Orlandi per conto della Provincia di Pistoia e dell’Atc, individua il percorso virtuoso per il trattamento e la commercializzazione della fauna selvatica abbattuta in occasione di piani di contenimento finalizzati alla prevenzione dei danni all’agricoltura. Le carni vengono veicolate verso un centro di lavorazione perfettamente in regola rispetto alle normative comunitarie per la lavorazione del prodotto, la distribuzione e l’uso da parte delle strutture recettive fino all’arrivo al consumatore finale.
Il progetto è semplice e geniale allo stesso tempo: portare sulla tavola dei consumatori carne di selvaggia a Km zero.
L’obiettivo è quello di utilizzare in modo sostenibile una risorsa rinnovabile come la selvaggina, passando attraverso la formazione del cacciatore, del consumatore consapevole e di chi, in un ristorante agrituristico, è chiamato a trasformare il prodotto in un piatto gustoso.
«La selvaggina deve diventare la risorsa, reddito integrativo per tante imprese agricole, – commenta Roberta Giuntini, presidente di Terranostra Pistoia – a cominciare da quelle agrituristiche. La prospettiva è di avere un agricoltore protagonista della gestione della fauna che nasce e cresce sui terreni aziendali».
Già, l’idea è quasi banale: commercializzare la carne di ungulato, in particolare di cinghiale, in modo da trasformare un problema in una opportunità per il territorio.
In un colpo solo si portano sulle tavole dei consumatori carni di alta qualità non inquinate da antibiotici preventivi e altre sostanze nocive utilizzate negli allevamenti intensivi, si contiene il numero di cinghiali limitando i danni al comparto agricolo, si crea occupazione e ricchezza sul territorio in zone depresse come quelle montane.
Solo un idiota (o un bracconiere, ndr) non lo farebbe.
La domanda, allora, nasce spontanea ed è rivolta in particolare all’assessore regionale alla Caccia, Dino Pepe, ma anche al governatore d’Abruzzo, Luciano D’Alfonso: perché l’Abruzzo non prende esempio da Pistoia? Basta alzare il telefono e farsi dire come si fa, copiare l’idea, importarla anche in Abruzzo. Ma ci vuole tanto?
Francesco Bottone
effebottone@gmail.com
PS: Visto che Pepe non si muove, perché qualche consigliere regionale di opposizione non presenta una legge che permetta la commercializzazione delle carni selvatiche in Abruzzo per poi prendersi il merito (e i voti, ndr)?