Il principale criterio di valutazione dell’operato di un ricercatore scientifico è rappresentato da un dato oggettivo: quante volte le sue pubblicazioni sono state citate dai colleghi nella loro produzione scientifica. Quanto più un ricercatore viene citato tanto più il suo lavoro è stato ritenuto valido, interessante e utile nel continuo ed inarrestabile processo di crescita delle conoscenze umane. L’elenco dei ricercatori più citati al mondo è stato pubblicato su Elsevier e riguarda i dati aggiornati al 2022 dello studio di Jeroen Baas, Kevin Boyack e John Ioannidis della Stanford University. Lo studio si basa su dati ricavati dal database per la ricerca scientifica mondiale Scopus, includendo 22 campi scientifici e 174 sottocampi secondo la classificazione standard Science-Metrix. Nell’elenco relativo all’anno 2022 figurano 13 ricercatori dell’Università di Trieste, tra cui Alberto d’Onofrio. Agnonese, pur mancando da tanti anni dal paese natio, Alberto ne conserva un ricordo appassionato e interagisce, soprattutto sui social, con i propri concittadini. Lo incontro a Trieste, la sua attuale sede di lavoro, nei pressi del Ponte Rosso, uno dei più caratteristici luoghi della città giuliana.
Il tuo rapporto sentimentale con Agnone è molto forte.
Agnone è nel mio cuore. Non c’è giorno che non la pensi. C’è un vissuto che ancora oggi mi esplode dentro.
Cosa ricordi in particolare?
Tante persone tutte caratterizzate da una fortissima personalità. Attraverso i racconti di mia madre, Ninuccia Sabelli, insegnante stimatissima, vedova giovanissima di mio padre Giulio D’Onofrio, ingegnere e preside dell’Istituto Tecnico Professionale che ho perso all’età di 9 mesi. Da mamma e da nonno Alberto Sabelli, con cui vivevamo nell’omonimo palazzo in Corso Vittorio Emanuele, ho appreso storie e racconti agnonesi relativi agli anni ’30, ’40 e cinquanta. Ricordo i soprannomi e tanti personaggi come Giuseppina, detta la zannuta, che viveva facendo piccole commissioni per tutto il vicinato. A un certo punto cominciò a girare per Agnone con una gallina in mano, ma voleva un gran bene a me e a mia madre. Ricordo benissimo il negozio di giocattoli di Ernesto Tavarozzi, la nostra vicina simpaticissima Fiorina Mezzanotte, madre di tanti figli sparsi per il mondo. E ancora i cari parenti, la zia Anna Cinquegrani ed il marito Franco Sabelli, zia Clara e Osvaldo Venditti, zia Eva e Natalino Sammartino. Ricordo tuo padre, don Ercolino, che era il mio pediatra, molto paziente con mia madre che era tanto apprensiva.
Il padre di Alberto con Pasquale Cimmino e Romolo Bucci
I tuoi amici e compagni di scuola?
Anzitutto i miei parenti Enrico D’Onofrio, le cugine Teresa, Lilli, Ester e Biancamaria. Ricordo che all’età di 10 anni con Francesco Martino, che sarebbe poi diventato sacerdote, ci venne la voglia di scrivere una storia di Agnone, che cominciammo a scrivere chiedendo informazione soprattutto a sacerdoti come don Peppe Delli Quadri e don Filippo La Gamba che ci mostravano libri antichi e raccontavano fatti e fattacci. In quel periodo ebbi anche una vocazione religiosa, volevo farmi prete.
Quando lasciasti Agnone?
All’età di 12 anni ci trasferimmo a Locri, poi ho conseguito a Pisa la laurea in Ingegneria elettrotecnica seguita dal dottorato di ricerca in Informatica medica alla Sapienza di Roma. Successivamente ho lavorato all’Istituto Europeo di Oncologia a fianco di Veronesi e di Peter Boyl e Gordon Mc Vie, due scozzesi dalla grande personalità. Poi l’esperienza in Francia: sono stato dirigente di ricerca dell’Istituto internazionale sulla prevenzione di Lione e dal 2022 sono ricercatore all’Università di Trieste lavorando all’interfaccia tra informatica, fisica e matematica applicata. In tutta la vita mi sono occupato dell’applicazione della fisica teorica e dell’informatica alla biologia ed alla medicina. In particolare abbiamo fondato un nuovo campo, l’Epidemiologia comportamentale che studia come i cambiamenti di comportamento influenzano e sono influenzati dalle malattie infettive. Attualmente opero in un campo interdisciplinare, occupandomi di stocastic modeling and simulation, di fisica teorica ed informale, di Intelligenza Artificiale, di informatica matematica e medica.
Giulio d’Onofrio padre di Alberto in una foto d’epoca ad Agnone
Quante pubblicazioni scientifiche hai prodotto?
Ho perso il conto. Sicuramente molte più di 100. Il mio H Index è 45.
Uno degli argomenti di cui ti sei occupato è la pandemia.
Il primo articolo sul tema lo abbiamo pubblicato nel 2007. Per ben 4 anni ho lavorato su un progetto sulla comunicazione del rischio durante le pandemie. Devi sapere che dopo la Sars del 2004 e l’influenza suina sono stati finanziati in Europa moltissimi studi sulla prevenzione pandemica. Sono state prodotte linee guida per le autorità politiche e di salute pubblica: centinaia di progetti che avevano previsto tutto, una nuova Sars o una nuova influenza simile alla spagnola. Eppure tutta questa mole enorme di risultati scientifici e consigli pratici non è stata tenuta in conto.
A Trieste mentre rilascia l’intervista al nostro Italo Marinelli
Altri errori nella gestione della pandemia, oltre a questa mancanza di prevenzione?
E’ mancata una seria comunicazione del rischio, dicendo con sincerità che mancavano conoscenza perfette. Le autorità politiche inizialmente hanno sottovalutato quanto stava accadendo, poi si sono lasciate prendere dalla paura. Un’altra pandemia è sempre in agguato. Speriamo che si faccia tesoro delle cose vissute e degli errori compiuti. Io ricordo che all’epoca ero in Francia dove pensavano che la pandemia fosse scoppiata in Italia per lo scarso valore della sanità italiana. Dopo soli otto giorni il Covid è arrivato anche da loro.
Trovi che ci sia sfiducia nella scienza?
In Italia c’è una forte diffidenza nella scienza, secondo il modello di Benedetto Croce che non la considerava come parte della cultura ma solo per i suoi semplici aspetti tecnici. L’ho sostenuto anche come attore. Nel film Elena e il pappagallo, interpretando il ruolo del matematico pazzo recitavo la battuta da me scritta: “Benedetto Croce è una merdaccia”.
Sei un anti-umanista?
Tutt’altro. Possiedo 3500 libri e ho dovuto cambiare casa per fare loro spazio. Penso che l’amore per la letteratura e le discipline umanistiche non è mutuamente esclusivo con quello per la scienza.
Come mai la gente crede sempre meno ai vaccini?
I meccanismi del comportamento umano sono difficili da comprendere perché sono influenzati non solo dai dati oggettivi ma anche da altri fattori come le fake news ed i convincimenti personali. E’un enorme problema sopratutto quando da una opposizione classica gli anti-vaccinisti sono passati ad opporre obiezioni pseudo-razionali. E’ come la sindrome dell’allenatore di calcio, per cui tutti si sentono in grado di dirigere la Nazionale non avendo alcuna esperienza di pallone.
Italo Marinelli