Dal Tribunale Amministrativo Regionale del Molise arriva un importante stop al divieto emesso dal Prefetto per la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti.
I fatti. Un cacciatore, anni fa, a seguito di un incidente di caccia, patteggiava la pena e il Giudice applicava una pena detentiva. Successivamente, non avendo commesso altri reati nel termine di anni quattro dalla sentenza, chiedeva a norma di legge la dichiarazione di estinzione del reato. Intanto da parte del Questore veniva revocato il porto d’arma uso caccia e il Prefetto ordinava il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. La richiesta dichiarazione di estinzione presentata in Prefettura veniva respinta. Contro questa decisione della Prefettura, per mezzo dei suoi avvocati Alfonso Tagliamonte e Lucio Mario Epifanio di Venafro, particolarmente esperti nel diritto venatorio e nella legislazione sulle armi, l’uomo ha presentato ricorso al Tar. Ricorso che è stato accolto sulla base di «interessanti motivazioni» commentano gli avvocati.
«Sostiene il Tribunale amministrativo del Molise, – spiegano i due legali – che l’atto di rigetto vada annullato e il Prefetto è conseguentemente gravato dall’onere di rivalutare l’istanza presentata dal ricorrente alla luce di quanto precisato in sentenza. Nello specifico, come dedotto nel ricorso, i Giudici hanno rilevato che la Prefettura nell’atto di rigetto non aveva rilevato l’inaffidabilità del ricorrente, ma aveva fatto riferimento soltanto al fatto per cui vi era stata la condanna e che la stessa, essendo intervenuta l’estinzione, non poteva più procedere alla valutazione dei fatti già definiti anche nella considerazione che nel tempo successivo al fatto l’interessato non era più sospettato di utilizzo improprio delle armi. In proposito il Tribunale ha affermato saggiamente che il decorso del tempo, la buona condotta e la successiva estinzione del reato debbano essere considerati alla stregua di elementi sopravvenuti ai quali ricollegare un onere di considerazione da parte dell’Amministrazione.
Ma il reato doveva essere valutato nella sua obiettiva dimensione storica e la capacità di abusare delle armi non coincide con l’esistenza di precedenti penali, così come la formulazione di un giudizio di inaffidabilità su un piano meramente ipotetico/probabilistico, come specificato nel provvedimento di rigetto, non consente di sostenere un giudizio negativo. La Prefettura, è stato rilevato, nel diniego aveva omesso di indicare e valutare eventuali elementi che giustificavano l’esercizio della potestà discrezionale di imporre il divieto. In sostanza, nel caso in cui il giudice penale abbia disposto l’estinzione del reato, l’Autorità di P.S. è chiamata a valutare e a precisare nel provvedimento di diniego “se il fatto isolato e risalente, tenuto conto della complessiva condotta di vita dell’interessato, possa ancora considerarsi concretamente ostativo alla detenzione delle armi ”. Per questi motivi – chiudono gli avvocati – ha accolto il ricorso annullando il provvedimento impugnato e ha disposto il riesame del provvedimento».