AGNONE – È una sala piena di gente ad accogliere Paolo Piccirillo, giovane scrittore candidato al Premio Strega 2014, ospite domenica sera al “Sabato del villaggio”.
Il romanziere ventisettenne, con un background familiare agnonese, ha presentato il suo “La terra del sacerdote”. L’opera narra con immagini forti ed intense la storia di una giovane usata come incubatrice umana per produrre bambini che saranno venduti nei mercati neri di organi e non solo.
A introdurre l’autore è stato Francesco Paolo Tanzj che ha parlato anche dell’abisso che divide il primo lavoro di Piccirillo, “Uno zoo col semaforo”, dal prodotto narrativo che il 28 settembre è stato sotto i riflettori.
Senza voler anticipare troppo del volume, edito da Neri Pozza, l’Eco ha voluto porre qualche domanda a Paolo.
Nella presentazione, hai parlato di avere speranza. Hai detto: “per questo lavoro, è necessario essere ottimisti ed avere fiducia nel mondo”. Troppo spesso, i nostri coetanei non la pensano così. Come li inviteresti a seguire il tuo mantra?
«Più che a seguire il mio mantra, li inviterei a crearsi un loro mantra personale. Un obiettivo nella vita, un’ossessione che li accompagni durante il cammino e che magari sia il cammino stesso. La positività poi, la speranza sarà conseguenza di questo atteggiamento».
Bastano poche pagine per poter capire subito come sia il tuo libro: vivido e crudo nelle descrizioni che sono dettagliatissime. Come mai questa scelta?
«È un atteggiamento dovuto al tipo di personaggi che ho deciso di raccontare. Sono personaggi crudi perché vivono una vita cruda e dato che io credo che lo scrittore debba sempre essere il mezzo dei propri personaggi, e non il contrario, ecco che ho adottato un certo stile preciso, vicino alle vite che ho voluto raccontare».
Parliamo della scena del parto, poco dopo l’inizio della storia. Anche qui, sei capace di girare una scena tridimensionale nella mente del lettore. Quello che ci si chiede è: come può un ragazzo come te conoscere il dolore del parto? Viene quasi da pensare che tu abbia chiesto ad una donna di tradurre in parole questo tipo di esperienza.
«Io penso che la fantasia possa fare di tutto. La fantasia e l’immersione nei personaggi che decidi di raccontare. L’immersione totale e senza pregiudizi o timori. Nel caso specifico, se ho deciso di raccontare un parto non devo temere di immergermi in un dolore totale e lancinante, come credo sia quello di un parto. Come immagino sia. Poi c’è anche una piccola componente di fortuna a volte, che però, come si sa, aiuta gli audaci, cioè chi non ha paura della propria fantasia».
Giovanni Giaccio
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