Aveva ragione la sindaca di Castiglione Messer Marino, Silvana Di Palma e prima ancora il consigliere regionale, Andrea Greco: l’unica strada da perseguire è quella giudiziaria. La vicenda, neanche a dirlo, è quella relativa al declassamento dell’ospedale di frontiera, il San Francesco Caracciolo ad un passo dalla trasformazione in mero presidio di comunità. Ormai il POS 2025-2027 redatto dai due commissari Marco Bonamico e Ulisse Di Giacomo è ufficiale e per l’ospedale altomolisano prevede un ridimensionamento epocale con l’eliminazione di reparti, abbassamento dei livelli occupazionali e, cosa devastante, l’assenza di un vero e proprio Pronto Soccorso. Proprio quest’ultima notizia sta suscitando l’ira delle popolazioni che storicamente si riversano sulla struttura sanitaria.

Non avere un punto che possa assicurare un’emergenza-urgenza qualificata, equivale ad avere poco più che un “ospizio” a conduzione infermieristica e con qualche medico di base a disposizione part-time: quattro ore al giorno per sei giorni a settimana. Il documento è chiaro e impietoso. A pagina 29 del Piano Operativo Sanitario si legge nero su bianco la condanna dell’ospedale di Agnone: la conversione da ospedale di Area Disagiata a pesidio di Comunità è stata decisa, studiata, pianificata.
Con buona pace del territorio, dei cittadini, della montagna. Il nuovo assetto prevede: 7-9 infermieri (di cui un coordinatore); 4-6 operatori sociosanitari; 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative; 1 medico per 4,5 ore al giorno, 6 giorni su 7 Questo è ciò che resta di un ospedale che serve quattro province. Uno smantellamento mascherato da “riorganizzazione”, un abbandono programmato spacciato per “efficientamento”. Di fatto un’intera area a cavallo di quattro province (Isernia, Campobasso, Chieti e L’Aquila) e due regioni (Abruzzo e Molise) rischia di non avere garantito quel diritto alle cure sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
Stiamo parlando di un territorio montano, disagiato, con viabilità complessa, dove raggiungere un ospedale attrezzato può significare 50-60 chilometri di curve e saliscendi. Dove in inverno la neve può isolare interi paesi. Dove la popolazione è anziana e fragile. Ma ai commissari Bonamico e Di Giacomo evidentemente non interessa. Loro applicano numeri, chiudono bilanci, tagliano posti letto. Il fatto che dietro quei numeri ci siano vite umane, comunità, diritti costituzionali, sembra essere un dettaglio trascurabile.

A nulla sono valse manifestazioni di piazza, appelli, proposte nonché una risoluzione firmata bipartisan dalla V Commissione Sanità della Regione Abruzzo con l’obiettivo di fare rispettare la legge. Perché è di questo che parliamo: il decreto Balduzzi (art. 15, comma 13) salvaguardia espressamente gli ospedali di area particolarmente disagiata come quello di Agnone. Una norma dello Stato italiano, non un’opzione da valutare. Una legge che prevede deroghe proprio per evitare che la montagna e le zone interne vengano private di servizi essenziali. Eppure i commissari hanno deciso consapevolmente di fare orecchie da mercante. Se ne infischiano del futuro di un intero territorio che comprende la diocesi di Trivento. Ignorano la legge con disinvoltura, forse certi che nessuno avrà la forza di contrastarli.
Va detto, tra le righe, che il Piano Operativo Sanitario dei commissari deve essere ancora vidimato dai ministeri romani. Tecnicamente c’è ancora uno spiraglio, una possibilità che qualcuno a Roma si accorga dell’anomalia giuridica e fermi questo scempio. Ma il percorso è ormai tracciato. La macchina burocratica è avviata, le carte sono state preparate con cura certosina, i numeri tornano (almeno sulla carta). Aspettare la clemenza dei ministeri significa illudersi che qualcuno, nelle stanze del potere, abbia a cuore le sorti dell’Alto Molise più dei commissari regionali.

E allora se i commissari hanno deciso di bypassare la legge Balduzzi, se hanno scelto di condannare un territorio intero all’isolamento sanitario, l’unica strada percorribile è quella di rivolgersi ai giudici amministrativi senza alcuno sconto. Al Tar – come ribadito in tempi non sospetti dal primo cittadino di Castiglione e dal consigliere regionale Greco – va chiesto semplicemente di far rispettare una legge dello Stato che i commissari, lautamente pagati dai cittadini (quelli stessi che stanno condannando all’abbandono), stanno provando a ignorare.
Non è questione di campanilismo. Non è una battaglia di retroguardia. È una questione di diritto, di legalità, di rispetto della Costituzione. Si può smantellare un ospedale che serve un’area montana, periferica, fragile? Si può condannare un territorio all’isolamento sanitario in nome di un bilancio? Si può calpestare una legge dello Stato che tutela espressamente le zone disagiate? I commissari Bonamico e Di Giacomo dicono di sì.
Ora spetterà ai giudici – a patto di essere chiamati in causa – dire se hanno ragione loro o se, per una volta, la legge vale anche per le montagne del Molise. La battaglia per salvare il Caracciolo è appena iniziata. E questa volta si combatte nelle aule di tribunale, dove i numeri dei commissari dovranno fare i conti con le norme dello Stato italiano.