• Editoriale
  • Punti di vista/Il delitto Garlasco e la lezione dimenticata di Costantino Kavafis

    Nei bar d’Italia, ora, si parla dello scontrino di Stasi.
    È suo, non è suo… sarà lui il colpevole? Dopo diciotto anni si dovrà rifare tutto il processo da capo?
    Sotto la lente e sul tavolo del dibattito pubblico c’è questo pezzo di carta.
    È la prova, il dettaglio mancante. Forse l’alibi preconfezionato che qualcuno stava cercando.

    Siamo seri. Non stiamo più parlando di “giustizia”, quella richiederebbe riserbo, competenza, rispetto delle procedure. Stiamo parlando dell’Italia.

    Lo scontrino è diventato il simbolo di un Paese che ha trasformato il dolore in spettacolo, la cronaca in fiction, la tragedia in format televisivo.
    Tutto è una rissa mediatica, dove nulla è chiaro perché non si deve capire nulla, se mai ci fosse davvero qualcosa da capire.
    In questa legge della giungla, l’importante è che nessuno mostri rispetto: né per la vittima, né per la giustizia.

    Il delitto di Garlasco è arrivato alla puntata intitolata “Lo scontrino”, sottotitolo: “È suo o non è suo?”.
    E in questo circo, come sempre, c’è tutto: una magistratura smarrita, una procura che dovrebbe indagare e invece è indagata, avvocati che dovrebbero difendere ma inseguono le telecamere (forse candidati all’Isola dei Famosi); giornalisti che fanno share sul sangue, preti che benedicono e mentono, una polizia che sbaglia i rilievi. E poi il proliferare di opinionisti del nulla che pontificano tra un talk e l’altro.
    Ovviamente non può mancare il pubblico, il vero protagonista, che applaude, scommette, si indigna e si diverte, testando la propria conoscenza del diritto: “Io lo sapevo che era lui il colpevole.”

    Il delitto di Garlasco è, in miniatura, l’Italia allo specchio.
    Dentro questa brutta storia c’è tutto: l’ipocrisia, la curiosità morbosa, la sete di colpevoli, la perdita di decenza collettiva.
    Siamo immersi nel fango e non ce ne accorgiamo nemmeno.

    E così la televisione confeziona il dolore con la sua solita cura: luci, sigle, interviste, indignazione a orario fisso. Magari anche qualche applauso preregistrato.
    Un processo in diretta, uno spettacolo osceno a puntate, un brutality show travestito da tribunale.

    Manca solo il televoto:

    Colpevole? Premi 1.
    Innocente? Premi 2.

    Certo, la cronaca deve informare. Ma ciò che vediamo oggi non è informazione: è pornografia del dolore.
    Un miserabile circo che divora giustizia, verità e dignità umana.

    Nessuno è davvero indenne da questo Grande Fratello della cronaca nera.
    C’è una sete insaziabile di particolari morbosi, perché il dolore, ormai, è diventato intrattenimento per una civiltà morta.

    C’è una poesia di Kavafis, Aspettando i barbari.
    Nella poesia del poeta greco, le orde arrivano quando una civiltà ha smarrito i propri valori.
    Da noi i barbari sono arrivati da tempo. Solo che non vengono da fuori: sono dentro di noi, seduti davanti alla TV, ad aspettare il prossimo processo in prima serata.

     Avv. Matteo Fallica

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