• In evidenza
  • Teatro, quella crisi economica che azzera i valori

    CAMPOBASSO – Quella crisi economica che azzera i valori Al Savoia la brillante interpretazione de “Il prezzo” di Miller della Compagnia Orsini A tutto c’è un prezzo, ma non sempre questo prezzo corrisponde al valore di ciò che realmente attribuiamo a quel tutto. Che sia una paccottiglia di cui sbarazzarsi, e in fretta, durante un periodo di grande crisi economica; che sia il sacrificio di un figlio, costretto ad annullare i propri sogni per dedicarsi al sostentamento del padre; che sia un abito nuovo, leggiadro, sbarazzino, in grado di ingentilire anche le forme di una non più dolce e generosa figura femminile; che sia la cinica valutazione di un vecchio mercante di mobili dai trascorsi ingarbugliati e foschi; che sia un passato ormai immutabile, fatto di rivendicazioni, smascheramenti, rivelazioni tardive o che sia un futuro in eterna sospensione, fatto di indecisioni, sospetti, incapacità di agire.

    Attorno a questa matassa, intricata, avvolgente, si dipana il gomitolo coinvolgente de “Il prezzo” di Arthur Miller, testo portato egregiamente in scena dalla compagnia Umberto Orsini, con la regia di Massimo Popolizio, che ha incantato il pubblico del Teatro Savoia a Campobasso, giovedì 7 aprile. La storia si concentra sul dramma di una famiglia americana che vive appieno gli anni della crisi del ’29, attanagliata da antagonismi, conflitti irrisolti, incapacità di comunicazione,incomprensioni, menzogne, affanni e aspirazioni represse. Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Alvia Reale ed Elia Shilton, con le loro magistrali caratterizzazioni, riescono ad affondare nelle profondità dell’animo dei protagonisti rappresentati, confermando quanto la nostra vita sia, sempre e comunque, un eterno ciclico ritorno consequenziale delle scelte operate in precedenza, cui non si sfugge, alla resa dei conti. In una scenografia domestica ridotta all’osso, proprio come l’osso che i protagonisti cercheranno alternativamente di spolpare, si erge una pila di mobili impolverati, accatastati alla rinfusa, tra qualche sedia, un lavandino, una poltrona e una scala che conduce al pianerottolo esterno. Ed è in questa atmosfera, fatta di mestizia, solitudine, abbandono, che gli interpreti tratteggiano sapientemente gli archetipi di un tempo che non è poi così lontano dal nostro.

    C’è Victor (Popolizio), agente di polizia, uomo sentimentale, dalle lodevoli ma bistrattate doti universitarie, costretto a rinunciare ad un futuro brillante per ripiegare su un lavoro “cuscinetto”, accontentandosi di un guadagno certo e misero pur di mandare avanti quella famiglia che il padre aveva distrutto. C’è Ester (Reale), moglie di Victor, unica presenza femminile, dai tratti dispotici e nevrotici, che affoga la sua depressione e le sue insoddisfazioni nell’alcol e negli abitini a buon prezzo. C’è Walter (Shilton), fratello di Victor, meno ingegnoso del fratello negli studi ma spregiudicato abbastanza da dedicarsi solo alla carriera, annientando qualsiasi devozione filiale pur di diventare medico, trascurando la moglie e i figli pur di sottomettersi al dio denaro. C’è Solomon (Orsini), cinico antiquario novantenne, ebreo, chiamato da Victor per stimare l’eredità mobiliare appartenente ai due fratelli (che non si incontrano da sedici anni per dissidi familiari) e che in qualche modo riuscirà a prendersi beffe di loro, pattuendo un prezzo non corrispondente al valore reale del tutto.

    Una rappresentazione che, seppur ambientata quasi 80 anni fa, si rivela quanto mai attuale, in questa epoca, fatta di crisi, non solo economica, ma anche morale e civile, in cui pare che tutto debba essere necessariamente ricondotto ad un prezzo per poter essere preso in considerazione. In fondo, è sempre una questione di prezzo, giammai di valore. Perché lo “spirito di apostolica abnegazione” non è da tutti, non è per tutti.

    S. Ferrara 

    Sostieni la stampa libera, anche con 1 euro.