L’Università delle Generazioni, come associazione culturale e agenzia stampa dal 1993, si è spesso interessata di anziani, specialmente quelli più fragili, in solitudine o dimenticati. Avendo appreso che è in atto il triste fenomeno di “parcheggiare” anziani del nord Italia in case di riposo del meridione, intende segnalare tale situazione che, benché legale, nasconde nelle sue pieghe alcune problematiche che le istituzioni, la società civile e religiosa, soprattutto le associazioni di volontariato socio-sanitario dovrebbero affrontare nel migliore dei modi. Di seguito pubblichiamo la lettera inviateci dal medico psichiatra Domenico Barbaro di Isernia il quale, oltre ad una vasta e lunga esperienza clinica, ha pubblicato alcuni libri sul disagio umano e dei nonni.
«Cari amici dell’Università delle Generazioni, come vi ho comunicato nell’ultimo nostro incontro, avevo accolto favorevolmente la vostra iniziativa di sollecitare il mondo cattolico ad indirizzare una particolare attenzione agli anziani soli e abbandonati. Vi eravate mossi alla luce di un ennesimo fatto di cronaca diffuso su tutti i media che riguardava una signora anziana ritrovata morta a Como dopo due anni dalla sua scomparsa. La vostra proposta consisteva fondamentalmente nel censire in ogni realtà locale tutti i soggetti di età avanzata e non completamente autonomi, lasciati soli nelle loro abitazioni, e monitorare la loro quotidianità per evitare esattamente quello che è successo alla signora della cronaca. Ovviamente questo episodio non è proprio raro nel nostro tempo, e i media si interessano poco o niente quando il ritrovamento avviene dopo qualche giorno. Come se il tempo intercorso tra morte e ritrovamento segnasse il limite di una dignità offesa, gravata per di più da una colpevole distrazione sociale. La circostanza di rivolgervi al mondo cattolico era suffragata dal principio cristiano inderogabile di avere una Chiesa attenta principalmente ai più bisognosi e agli ultimi. Ma ciò che la vostra iniziativa ha evocato nel mio animo è una riflessione su una situazione collaterale a quella di cui voi avete perorato la causa. Da medico e psichiatra ho notato in questi ultimi anni uno strano fenomeno: una migrazione di anziani soli provenienti dal nord Italia e sistemati nelle case di riposo del nostro Molise. Certamente in tali strutture alloggiano anche e soprattutto anziani locali. Come dire che è consuetudine ormai molto diffusa nel nostro mondo di relegare i nonni non più produttivi in una particolare “quarantena” fino all’esito mortale. Ma il fatto di farli giungere dal Nord a mo’ di emigrazione per me è stata una sorpresa. Mi sono chiesto il motivo e non mi sono certo fermato alla motivazione che le tariffe settentrionali possono essere più elevate. Sono andato oltre e da buon psichiatra ho interpretato il fenomeno come un simbolico bisogno di allontanare il più possibile il congiunto dal proprio contesto sociale, quasi a tacitare la coscienza non vedendolo più, anzi dimenticandolo. Insomma, una censura freudiana severa non di un evento stressante ma addirittura di una persona considerata inutile. Ormai ne ho visti parecchi di questi casi. In quegli occhi smarriti ho letto una solitudine esistenziale inguaribile, un vissuto abbandonico, un amaro sentimento di frustrazione. Quando ho chiesto dei loro congiunti mi è stato risposto che il viaggio per una breve visita è troppo lungo e difficoltoso. Così questa emigrazione prosegue, e nessuno si accorge che questa nostra società sta divenendo, oltre che violenta, anche cinica, irriconoscente, indifferente alle proprie radici e alla propria storia. Siamo ancora nel pieno di una pandemia che ha estirpato, e continua a farlo, proprio le nostre radici, i nostri anziani, i nostri rappresentanti di valori in declino. Ricordo che ai tempi del lockdown scrissi delle riflessioni dedicate a loro, ai nostri nonni, che ad uno ad uno se ne stavano andando facendoci disperdere perfino la nostra storia personale e collettiva. Ancora prosegue purtroppo questa triste perdita, e prosegue, ahimè, la loro “quarantena”. Restano ancora isolati nelle loro case di riposo chiuse ai visitatori. E così, si continua a morire non di virus ma di solitudine. Dopo un primo spiraglio siamo tornati a vederli questi nonni solo per videochiamata. Dal loro letto fissano quel display da cui possono scorgere il mondo lontano, troppo lontano e indifferente. Le parole si riducono a qualche lamento, stretto in una rassegnazione che segna il loro inaspettato tramonto. “Cessate di uccidere i morti…” diceva Ungaretti. Proprio così. Che questo nostro mondo finisca di somministrare la morte a chi sta sulla soglia di essa. È insopportabile che prosegua questo esodo, questo flusso migratorio che ci consegna persone indifese, senza altra richiesta che una carezza, un sorriso, un segnale di attenzione. Certo, esportarli come merce in disuso è inumano. Che se il luogo della loro degenza fosse vicino e consentisse una giusta compresenza forse sarebbe, almeno questo, una pur minima consolazione. Ma i fatti ci raccontano altro. Con l’augurio che la vostra iniziativa sia colta pienamente e che cessi pure questa malinconica censura su esseri umani che, ne sono certo, continuano a costituire la nostra irriducibile ricchezza».