«I capisquadra cinghialai d’Abruzzo non faranno la caccia di selezione». E’ quanto comunica un sedicente portavoce delle squadre di caccia al cinghiale.
Nella nota girata alla stampa si legge: «Rifiuto totale della maggior parte delle squadre cinghialai ad effettuare la caccia di selezione, fino a quando non vengono esaminate le nostre richieste alla modifica del piano faunistico».
Sarebbe interessante capire di che percentuale di squadre parla il sedicente portavoce dei cinghialai. Non risulta, infatti, che i capisquadra siano stato sentiti in merito, almeno non tutti. Nonostante questo il portavoce autoproclamatosi tale continua: «Se ci ritroviamo i cinghiali in mezzo all’acqua del mare, la colpa non è dei cacciatori, ma di chi fino ad adesso ha impartito direttive e regolamenti con l’aiuto di animalisti compiacenti e zoologi pagati profumatamente dagli Atc; incolpano le squadre che cacciano secondo i metodi tramandati dai nostri avi. (quali avi se la braccata in Abruzzo è praticata da nemmeno trenta anni, ndr) Non è la braccata che destruttura il branco, bensì la caccia di selezione arrecando ancor più danni all’agricoltura».
Affermazioni apodittiche e arbitrarie che non hanno nessun riscontro in letteratura, destituite completamente di fondamenti scientifici.
«Con l’erba alta – continua il sedicente portavoce dei cinghialai – non si individua facilmente l’animale da abbattere in particolare i rossi, a meno che con l’innovazione abbiano inventato le pallottole teleguidate oppure qualche nuova app. Viene spontaneo sparare alle matriarche. – dice il capopopolo autoproclamatosi tale, ignorando le più elementari norme di etica venatoria – Senza il capobranco, i piccoli rimangono nei paraggi e devastano le culture in atto. In alcune zone è diventato un vero e proprio commercio di carni di cinghiali con furgoni frigo che ritirano le carcasse. Questa non è la caccia, è una mattanza senza senso a discapito di tutti. Inoltre, l’autocertificazione proposta dalla Federcaccia ed accettata dalla Regione Abruzzo invece della taratura obbligatoria delle carabine è una soluzione che mette a rischio i cacciatori, – aggiunge, dicendo finalmente qualcosa di sensato – in quanto basta che si cambia lotto o marca delle cartucce per ritrovarsi la carabina starata. Non ci dobbiamo dimenticare che si ha in mano un’arma che ha un tiro utile di 1500 metri: in caso di incidente pagherà i danni la stessa assicurazione che l’ha proposto?».
«Noi capisquadra cinghialai d’Abruzzo – chiude la nota – abbiamo la soluzione in mano per riportare alla normalità il numero di animali nel giro di pochi anni». Una sorta di cura miracolosa che però il sedicente portavoce dei cinghialai, che in realtà non è tale, si guarda bene dal rendere pubblica.