Nella più autentica tradizione orale i blasoni popolari sono motteggi, soprannomi, ingiurie, scherni e sberleffi, per lo più di natura canzonatoria, che gli abitanti dei paesi viciniori si appioppano reciprocamente. Le motivazioni, di svariata natura e coniate con pungente sagacia, scaturiscono da particolari qualità, attitudini, avvenimenti e caratteristiche fisiche e morali. I blasoni vivono e suscitano la curiosità delle giovani generazioni che ne vogliono appurare le origini presunte o fantasiose. Il Molise è ricco di tali arguzie, frutto del campanilismo tra i piccoli borghi e la più spontanea creatività popolare.
Agnone, che si è sempre distinta per le botteghe artigianali e la lavorazione dei metalli, eredita l’antico appellativo Callarèare d’Agnéune, l’artigiano che lavora caldaie, paioli e altri recipienti di rame. A tal proposito, soprattutto nei paesi della nostra regione, ricorre il detto quale sinonimo di qualità: «La callara nn’é bbóna sse nn’é d’Agnóne».
Altro blasone famoso in Molise e in alcune località delle regioni limitrofe è Paga ca sci d’Agnéune. Allo stato attuale della ricerca si conoscono almeno tre avvenimenti che ne ipotizzano la provenienza. Eugenio Cirese in Tempo d’allora. Figure, storie e proverbi (Campobasso 1939) racconta che per raggiungere il paese si doveva attraversare il fiume e un contadino che possedeva la masseria lì vicino aveva costruito una passerella per facilitare il passaggio da un lato all’altro della riva. Durante l’inverno la struttura in tavole veniva spazzata via dalla piena e a tal proposito il solerte contadino, per recuperare le spese, decise di far pagare il “passo” per l’attraversamento. Una regola governativa di allora dispensava dal pagamento solo i forestieri. Un giorno, di buon mattino, un uomo a cavallo dopo aver percorso il tratturo si avvicinò alla passerella. Il contadino corse dalla masseria, lo fermò e gli disse: «Bbuongiórne a segnuria paga ru passe»; il forestiero gli rispose: «Ma mi non devo mica pagare, perché mi son de Milano». Egli lo guardò e replicò dicendo: «Le paréule saca só de Melane ma ji ssa parlatìura l’arcanósche, paga ca sci d’Agnéune!».
Altri invece riferiscono che un agnonese custodiva un ponte a Milano, dove il passaggio senza elargire un compenso era consentito solo ai milanesi. Un bel giorno un suo paesano per non pagare, si spacciò per milanese, ma prontamente riconosciuto si sentì dire: «Paga ca sci d’Agnéune!».
Arnaldo Brunale, invece, nel libro Campuasciane assélute (Campobasso 2008) riferisce che tale invito fu rivolto dalla guardia pontificia ad un soldato di Agnone che aveva deciso di visitare il Vaticano. In quel tempo per accedervi, si parla del XVIII secolo, si doveva attraversare il ponte Vittorio pagando un modesto pedaggio. I soli romani, però, onde avere libero accesso alla Città Santa dovevano farsi riconoscere dicendo: «Só de Roma!» ed esibire un documento di riconoscimento ai militi. Il povero soldato di Agnone, non avendo né soldi, né documento, provò a fingersi romano nella speranza di farla franca. Sfortuna volle che tra i soldati di guardia al ponte ci fosse un suo compaesano che lo riconobbe e lo bloccò intimandogli di pagare il dovuto con la famosa frase: «Paia ca si r’Agnone!». Di frequente, quando si deve effettuare un pagamento non molto gradito o si tenta di non corrispondere il dovuto, ricorre il famoso detto: «Paga ca sci d’Agnéune».
Un ultimo dileggio, seppur meno conosciuto, viene citato occasionalmente per mettere in risalto l’inospitalità degli agnonesi; infatti gli abitanti dei paesi viciniori con acutezza sarcastica vanno ripetendo: «Ru fra sci mmagnìate?» «Sciòine», «Mó sse nn’ive magnìate menive a magné che mmé». «Ru fra sci mmagnìate?» «Nò», «E allóra va mmagnìa».
Domenico Meo