«La malattia più diffusa e temibile è quella della delega: se ne occuperanno gli altri, non noi. E’ ora di dire basta ai cittadini ad intermittenza, perché servono cittadini responsabili».
Il monito, urlato a chiare lettere nella piazza di Villanacale, nel pomeriggio di oggi, arriva da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, sacerdote da sempre impegnato accanto agli ultimi e ai dimenticati, ospite di un evento a cura della Caritas diocesana di Trivento e dell’associazione culturale “Nuova Villacanale“.
Una frazione blindata, con decine di agenti di scorta, della Digos di Chieti e di Isernia e pattuglie dei Carabinieri inviate dalla compagnia di Agnone, unitamente a centinaia di cittadini e qualche sindaco di zona in fascia tricolore. Tutti in religioso silenzio hanno ascoltato le vibranti parole di don Ciotti, il prete che combatte le mafie, il malaffare e le dipendenze da una vita, insieme ai suoi collaboratori.
«Se dopo trent’anni dalle ultime stragi di mafia stiamo ancora qui a parlarne, a parlare della malavita organizzata, vuol dire che qualcosa non è andato per il verso giusto. – ha spiegato don Ciotti – La mafia non è affatto scomparsa come si vuole far credere, anzi, è più forte di prima. Forse non usa più l’esplosivo e gli attentati, fa meno sangue e morti, ma dilaga nel tessuto connettivo della società, dal Sud al Nord dell’Italia, ovunque ci siano “affari” e soldi.
Ecco allora l’urgenza assoluta di affrontare alcuni temi come quello della legalità, a tutti i livelli, ma attenzione che la legalità non è altro che uno strumento, un mezzo. Perché il fine ultimo a cui tendere resta la giustizia, che per noi cristiani impegnati accanto agli ultimi e ai dimenticati è soprattutto giustizia sociale».
Parole forti, quelle di don Ciotti, che ha ricordato come spesso dietro la bandiera della legalità si nascondo le più atroci nefandezze e il malaffare che domina incontrastato anche all’interno delle istituzioni. «Ovviamente nessuno si dichiara apertamente mafioso, a favore della mafia. – ha ricordato il sacerdote che vive sotto scorta – E c’è persino chi ha fatto dell’antimafia una sorta di cavallo di troia, un bandiera dietro la quale nascondere il malaffare che c’è in ogni settore della vita pubblica. Anche la parola legalità è diventata un paravento dietro il quale nascondersi. Essere contro la mafia, contro la mentalità e l’atteggiamento mafioso, non può essere una mera enunciazione, ma deve essere un fatto di coscienza».
E qui il richiamo all’impegno del singolo, perché non si può sempre delegare agli altri, ma bisogna fare, pretendere legalità, praticare la legalità nel quotidiano, ogni giorno; solo così, con lo strumento della legalità attiva e applicata si potrà raggiungere il fine ultimo che è, appunto, la giustizia che don Ciotti ha declinato nel suo risvolto sociale. E giustizia allora significa avere e godere dei diritti come quello al lavoro, alla casa, alla salute, alle cure mediche, all’istruzione e via elencando, indipendente dal fatto che si viva a Villacanale o a Roma o a Milano.
«Attenzione ai cittadini che delegano, che dicono “se ne occuperà chi di dovere”. – ha ammonito in chiusura don Ciotti – E attenzione anche a quelli neutrali, che restano indifferenti e impassibili di fronte a quello che accade, anche al malaffare. Non servono cittadini ad intermittenza, a seconda della convenienza, ma servono cittadini consapevoli e responsabili che mettano in atto la legalità e perseguano, attraverso quest’ultima, la giustizia e la giustizia sociale in particolare».
Francesco Bottone