ATESSA – È notizia dei giorni scorsi che la Honda di Atessa ha rinunciato ad investire sul sito di Val di Sangro ed in più si paventa l’ipotesi di delocalizzare alcune delle già esigue attività dello stabilimento. Ma è bene ricordare che da anni allo stabilimento di Atessa non è rimasto che l’assemblaggio, dopo che è stata sostanzialmente abbandonata la produzione dei motocicli. Ora, a quanto si apprende, c’è il rischio concreto che anche l’assemblaggio dei motori venga fatto altrove.
Si tratta di un esito che noi, come Rifondazione Comunista, avevamo ampiamente previsto, tanto che già dal 2011 denunciammo che non sarebbero stati gli accordi al ribasso per i lavoratori, l’aumento della precarietà e le deroghe al Ccnl, a far ripartire le produzioni. Avevamo la sfera di cristallo per prevedere questo esito? No, avevamo parlato con i lavoratori e ci eravamo letti le carte, ed in alcuni accordi si affermava esplicitamente la previsione di una tendenza fortemente negativa dei futuri volumi produttivi.
Inutile stupirsi ora o affermare l’ovvietà che “questa non è la strada giusta”. Ripercorrendo le recenti vicende dello stabilimento, si nota chiaramente che non ha funzionato la morbidissima linea sindacale adottata quando Honda, a partire dal 2011 ha messo in serie accordi, anche in deroga al Ccnl, che hanno aumentato vertiginosamente le condizioni di precarietà dei lavoratori, con la scusa che quella strada avrebbe restituito competitività allo stabilimento.
Alla tendenza fortemente negativa del mercato delle moto, pure sottolineata negli accordi sottoscritti, si è aggiunta la chiara volontà della proprietà di produrre altrove. Ci si è forse dimenticati che quando la Honda mostrava la volontà di licenziare metà del personale ad Atessa, nel frattempo realizzava un nuovo stabilimento in Vietnam? E quindi, ora, di cosa ci si stupisce?
La vicenda della Honda ha dimostrato che non è con la precarietà ed i sacrifici dei lavoratori che si esce dalla crisi, ma garantendo loro diritti e salario propri di un lavoro almeno dignitoso, ma che di certo non verranno regalati dalla proprietà. Piuttosto, ci sarebbe da mettere in piedi strategie per ostacolare le delocalizzazioni produttive, che da anni interessano tutto l’Abruzzo. Ma nonostante gli impegni presi in campagna elettorale, il PD ed i suoi satelliti, esattamente come già fu per il centrodestra, dimostra di non essere in grado di mettere in campo politiche nemmenoper il mantenimento dei livelli occupazionali.
Da un punto di vista sindacale, speriamo, invece, che la storia di questa drammatica vicenda insegni anche la necessità direstituire ai lavoratori il protagonismo della lotta, senza la quale diritti e salario saranno sempre più ridotti.
Si invertano, allora, le disastrose politiche fin qui seguite. Visto che non si potrà mai competere con uno stabilimento vietnamita sul costo del lavoro, la strategia confindustriale e governativa di riduzione dei diritti dei lavoratori non funziona, visto che Honda ha ottenuto tutto quel che chiedeva e se ne va lo stesso. E pure la riduzione del danno da parte sindacale (non si ricorda, infatti, alcuna forma di reale mobilitazione sulla vertenza Honda, salvo rare eccezioni) funziona poco. Si apra, perciò, una vertenza forte e larga, capace di mobilitare pure i lavoratori dell’indotto anche non direttamente produttivo. Una vertenza che punti direttamente al nodo centrale: la necessità di una politica economica e industriale che non sia quella fin qui seguita di permettere alle grandi imprese di fare quel che a loro pare.
Marco Fars, segretario regionale Rifondazione Comunista
Maurizio Acerbo, segreteria nazionale Rifondazione Comunista