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  • Lotta allo spopolamento: da Castel del Giudice parte la sfida dei sindaci dell’Appennino

    CASTEL DEL GIUDICE – “La FAO stima che nel 2050 nove miliardi di persone vivranno sul nostro pianeta. Due terzi di loro, si prevede, abiteranno in aree metropolitane: ma questo non è un processo inevitabile, ed evitare la congestione dei centri urbani serve anche in ottica di contrasto ai cambiamenti climatici. Ecco perché possiamo dire che i problemi dell’Appennino non riguardano solo gli 11 milioni di italiani che vivono in queste aree, pari al 52% del territorio nazionale, ma tutta la popolazione del nostro Paese”: con questo richiamo il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale, riassume il senso della prima Assemblea dei sindaci e degli amministratori dell’Appennino, una due giorni che ha visto l’adesione di rappresentanti istituzionali (sindaci, consiglieri e delegati delle amministrazioni) arrivati da tutte le regioni dell’arco appenninico, nonché di diverse associazioni.

    foto-1-3Alla manifestazione, organizzata da Slow Food Italia in collaborazione con il Comune di Castel del Giudice, hanno aderito ActionAid, Cittadinanzattiva, Anci, l’associazione Borghi Autentici d’Italia e l’associazione dei Comuni Virtuosi.

    L’Assemblea dei sindaci e degli amministratori è un’articolazione degli Stati Generali delle Comunità dell’Appennino, il progetto, frutto dell’esperienza di Terra Madre, che Slow Food coordina dal 2013. Obiettivo di questo appuntamento era in particolare la promozione di una rete di sinergie tra amministratori dei comuni appenninici, chiamati ogni giorno ad affrontare tematiche comuni, dallo spopolamento alla riduzione dei servizi, dalla promozione di un’agricoltura e un allevamento con caratteristiche peculiari rispetto alla pianura alla lotta contro l’incuria dei territori e il dissesto idrogeologico.

    Giovanni Lolli, vicepresidente della Regione Abruzzo, ha ricordato come “lo spopolamento non è uno stato d’animo, ma un processo legato alle difficoltà materiali. Se la gente se ne va è perché vivere in queste aree diventa talvolta troppo complicato”. Per uscire da questa spirale, continua Lolli, “non servono sovvenzioni e risarcimenti, ma investimenti pubblici e privati: noi che viviamo e amministriamo nell’Appennino dimostriamo che li si può fare ottenendo una remunerazione, smettiamo di considerarci una sorta di peso che qualcuno deve caricarsi sulle spalle”.

    Riferendosi ai dati presentati dall’ufficio studi della Camera dei Deputati, il vicepresidente della giunta abruzzese ha ricordato che ogni anno l’Italia spende in media 3 miliardi per riparare i danni provocati dagli eventi sismici e dal dissesto: “Se è difficile convincere lo Stato che conviene investire, facciamo il discorso opposto: quanto costa non farlo?”.

    La tutela del territorio è il primo tassello della prevenzione, concorda il presidente della Regione Molise, Paolo Di Laura Frattura, che rileva come “gran parte dei nostri legislatori hanno omologato il valore-Paese sulle aree metropolitane. Ma non si può pretendere che i cittadini rimangano nelle aree interne se non gli si assicura la qualità della vita”.

    3-2Il nodo è centrale anche per Massimo Castelli, coordinatore di Anci Piccoli Comuni: “La montagna offre grandissimi servizi, trasformati in risorse da milioni di euro, senza ricevere alcuna perequazione. Prima del ponte sullo Stretto facciamo in modo che arrivino i binari sulle linee interne. Prima dell’alta velocità arrivino le strade nelle aree interne, perché i nostri cittadini pagano le stesse tasse di chi vive in città pur ricevendo meno servizi”.

    Lino Gentile, sindaco del Comune di Castel del Giudice, riprende comunque l’appello a “liberarci dal vittimismo rinunciatario, come amministratori e sindaci. Siamo consapevoli che i piccoli comuni e le aree interne non sono al centro dell’agenda del Paese. Per questo dobbiamo creare da noi le opportunità, sfruttando nuovi modelli di sviluppo e nuove politiche sociali, anche nel campo dell’integrazione delle comunità straniere”.

    Castel del Giudice, uno degli esempi più virtuosi di rilancio del territorio nell’Appennino molisano, ha ospitato l’Assemblea dei sindaci e degli amministratori dopo l’edizione degli Stati Generali delle Comunità dell’Appennino dello scorso anno.

    Al centro del confronto di questi due giorni si sono imposti in particolare i temi della prevenzione del dissesto idrogeologico e della ricostruzione post-terremoto, a soli due mesi dal tremendo sisma che ha investito il Centro Italia e a poco più di sette anni dal terremoto dell’Aquila.

    Sappiamo infatti che oltre la metà dei 22mila centri storici italiani, popolati da quasi 20 milioni di persone, sorgono in zone a rischio sismico: la grande maggioranza dei 2800 comuni interessati si trovano in territorio appenninico.

    Al termine del lavoro nella giornata di sabato, condotto su due tavoli di confronto, è emerso un documento incentrato su alcuni punti qualificanti, che suggeriscono una base di partenza per la ricerca di soluzioni condivise a problemi comuni dall’Oltrepò pavese alla Calabria:

    • La partecipazione: la partecipazione delle comunità deve diventare elemento imprescindibile di un nuovo approccio nelle decisioni che riguardano sia la prevenzione sia la ricostruzione in caso di calamità.
    • La prevenzione e la pianificazione: adottare come riferimento, oltre alle mappe di rischio, la carta della vulnerabilità che integra i fattori sociali. Deve essere data priorità alle attività di prevenzione. Quelle messe in atto fino ad oggi non sono risultate (evidentemente) sufficienti per quantità di denaro erogata e mancanza di obiettivi concreti e per il rapporto tra questi due fattori. Sono necessari livelli differenti di emergenza sulla pianificazione ordinaria, avendo come riferimento dati relativi al fenomeno sismico più grave possibile nell’area.
    • Il ruolo dell’agricoltura, nel quotidiano e nelle emergenze: l’Appennino è un territorio fragile oltre i fenomeni sismici. E’ più che necessario, non più rinviabile, il riconoscimento dell’agricoltura e della sua funzione nella manutenzione e nella salvaguardia delle aree interne del nostro paese. Le attività agricole e agro-silvo-pastorali sono fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio tra fattori produttivi, perché favoriscono sistemi di economia locale sostenibile, garantiscono la biodiversità e contrastano lo spopolamento e il conseguente taglio progressivo dei servizi. Questo assunto, che vale sempre, assume una rilevanza particolare nella programmazione della ripresa post emergenza.
    • Le opportunità di sviluppo: diversificare, modernizzare e agevolare economicamente e fiscalmente (anche in funzione delle ricadute sociali e preventive) le attività agricole e quelle ad esse connesse, riuscire a condurre a termine l’iter del riconoscimento dei “servizi ecosistemici” possono essere punti sui quali far convergere una azione congiunta.

    Un termine emerso nella giornata di ieri, conclude il documento, è “spaesamento”. Slow Food crede che nessun sostantivo possa essere più appropriato al sentimento di chi improvvisamente sia costretto a trovarsi in situazioni come quelle descritte negli scenari di cui abbiamo parlato. “Spaesamento” è un termine dall’eco profonda che ci riporta al senso di appartenenza a un luogo, alle proprie radici, alle relazioni sociali, umane.

    Abbiamo quindi pensato che l’impegno che ci assumiamo a partire da oggi, al di là delle tematiche che via via affronteremo con il progetto degli Stati Generali delle Comunità dell’Appennino, sarà proprio questo: mai più “spaesati”.

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