Un abete del bosco di Rosello per il Vaticano. Il “caso” continua a far discutere e ora Dario Rapino, noto fotografo naturalista, dopo aver minacciato di incatenarsi in piazza davanti a San Pietro, scrive addirittura al Pontefice per scongiurare il taglio dell’albero, «atto crudele e futile».
Pubblichiamo, di seguito, la lettera di Rapino inviata al Papa e recapitata proprio nei giorni scorsi.
A Sua Santità Papa Francesco
Città del Vaticano
Santità,
apprendo che la Segreteria di Stato del Vaticano, con missiva dello scorso 8 luglio (n. 499.058), ha comunicato al Sindaco di Rosello l’accettazione in dono di un albero da allestire in Piazza San Pietro in occasione del Natale 2022.
Mi rivolgo a Lei, Santità, perché ascolti l’appello di chi le sta scrivendo e sono certo che ciò sarà. Rosello è un paesino di poche anime sito nei monti dell’alto Chietino, in prossimità della Regione Molise ed ha sul proprio territorio, come unica, grande ricchezza, gli abeti bianchi, che per la gran parte costituiscono la Riserva regionale denominata, appunto, Abetina di Rosello, protetta da leggi nazionali e regionali.
L’abete bianco è un albero maestoso, slanciato e longevo, e data anche la sua notevole altezza (in media 30 metri, alcuni esemplari possono superare 50 metri), è soprannominato “il principe dei boschi“.
Durante gli ultimi anni l’abete bianco ha subito una diminuzione di numero, che viene calcolata in circa l’11% e al 2004 rappresenta solo il 13% degli alberi, cifra decisamente inferiore al 37% del più diffuso abete rosso. Tale diminuzione è in gran parte dovuta all’azione antropica (cioè dell’uomo).
Sottrarre un tale abete, che ha impiegato decine di anni per crescere e svilupparsi, al proprio ambiente naturale costituisce una grave ferita inferta a tutto l’ecosistema, che giammai potrà essere compensata o risanata: il vuoto che quell’albero fatalmente lascerà nel bosco non sarà mai colmato, così come mai colmata sarà la ferita inferta al cuore di chi lo ha amato ed ammirato in ogni anno della propria vita.
La vita di quell’albero, Santità, sarà stata vilipesa nel momento stesso del taglio e la sua magnificenza sfiorirà malinconicamente nella Piazza in cui non verrà eretto quale dono al Signore bensì quale esempio brutale della vanità umana.
Il mio pensiero è che una festività così sacra per la cristianità non possa in alcun modo essere associata ad un atto così crudele e futile.
Invoco, pertanto, i suoi uffizi affinché la vita di quell’abete venga risparmiata.
Ho voluto rileggere la sua Enciclica Laudato si del 24 maggio 2015 ed in essa ho trovato conforto per questo mio appello.
In essa Sua Santità affermava che “Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea….
Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti…
Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane, una parte della società sta entrando in una fase di maggiore consapevolezza. Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta. …
Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi…
Ma non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in sé stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana…
Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche iniziativa economica, si è soliti considerare gli effetti sul suolo, sull’acqua e sull’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto sulla biodiversità, come se la perdita di alcune specie o di gruppi animali o vegetali fosse qualcosa di poco rilevante. Le strade, le nuove colture, le recinzioni, i bacini idrici e altre costruzioni, vanno prendendo possesso degli habitat e a volte li frammentano in modo tale che le popolazioni animali non possono più migrare né spostarsi liberamente, cosicché alcune specie vanno a rischio di estinzione.
La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o del serio danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che eccedono qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di gravissime inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale….”
Mi ha colpito in particolare questa Sua affermazione:
“La mancanza di preoccupazione per misurare i danni alla natura e l’impatto ambientale delle decisioni, è solo il riflesso evidente di un disinteresse a riconoscere il messaggio che la natura porta inscritto nelle sue stesse strutture….tutto è connesso. Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perché «Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura»”.
E’ esattamente questo il senso del dramma che stiamo vivendo in questi anni sul nostro amato Pianeta: la protervia dell’uomo, la sua incapacità di sentirsi parte del tutto, il disprezzo, a volte ostentato, verso tutto ciò che è altro da sé ci sta conducendo nel baratro dal quale non vi sarà ritorno.
Un albero, un abete potrà sembrare ai più piccola cosa, ma a me, come a tanti, appare l’emblema di saggezza, di forza, di meraviglia dell’intero creato: questa è ragione da sola sufficiente per lasciarlo alle sue radici.
La ringrazio per il tempo che avrà voluto dedicare a questa mia e La abbraccio fraternamente.
Dario Rapino
(Lanciano, Ch)