La caccia in braccata è la causa, non la soluzione, del prolificare incontrollato dei cinghiali. E’ una tesi che circola da tempo negli ambienti scientifici, in quelli legati al mondo animalista e sempre più anche in quelli del variegato e litigioso panorama venatorio. Nei giorni scorsi la tesi caccia in braccata = aumento dei cinghiali è stata rilanciata, nel corso di un convegno a tema, dal vicepresidente della Provincia di Biella, Emanuele Ramella (foto da www.newsbiella.it, ndr). «Vogliamo eliminare il problema dei cinghiali? Aboliamo per qualche anno la caccia». Fermando, dunque, la caccia in braccata, secondo Ramella, «i capi diminuirebbero e allora sì che la caccia di selezione porterebbe risultati concreti e cancellerebbe il problema che, anno dopo anno, diventa invece sempre più preoccupante». Ne dà notizia il quotidiano on line di Biella e del Biellese. Una tesi spiegata più in dettaglio dal fotografo naturalista abruzzese Dario Rapino che nei giorni scorsi ha postato un suo video, realizzato in Abruzzo, che mostra dei cinghiali al pascolo. «Un piccolo branco di cinghiali autoctoni, ben strutturato per classi di età». Nel video, spiega Rapino, «si scorge la matriarca, l’unica abilitata a riprodursi, ed altri membri di diversa età. L’accrescimento del loro numero è tenuto sotto controllo dall’attività predatoria dei lupi. Cosa accade quando si pratica la caccia, specialmente in braccata? Accade che, uccidendo la matriarca, il branco si disperde e le femmine presenti vanno in estro, costituendo nuovi branchi, cosicché il numero degli esemplari aumenta in maniera esponenziale: dove ce n’erano dieci, ce ne saranno cento. Ecco, spiegatelo a quei geni che propugnano una maggiore attività venatoria. Volete ridurre il numero di questi ungulati? Bene, cominciamo con il vietarne la caccia, limitandola magari a quella di selezione».
Francesco Bottone
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