La crisi idrica che l’Abruzzo – in particolare Chieti, Pescara e le rispettive province – sta affrontando in queste settimane non può essere attribuita esclusivamente alla siccità, conseguente ai cambiamenti climatici in atto, e la soluzione non può essere quella di continuare a captare sorgenti, impoverendo ancor più la risorsa. Il vero nodo è rappresentato da una rete di distribuzione che, è davvero il caso di dirlo, nel Chietino e nel Pescarese (ma non solo) fa acqua da tutte le parti.
Questo comporta un danno immenso, ambientale ed economico, per la comunità per la perdita di un bene sempre più prezioso e per la mancanza di un servizio. Con gravi, chiamiamoli così, “effetti collaterali” determinati proprio dalle continue sospensioni. Nelle reti di distribuzione è lo scorrere dell’acqua che impedisce l’ingresso di corpi estranei, ma quando i tubi rimangono vuoti dalle fessurazioni può penetrare di tutto. Ogni cittadino ne avrà fatto esperienza osservando il colore dell’acqua erogata dai rubinetti nei primi minuti dopo la ripresa del flusso mentre un esempio clamoroso in tal senso c’è stato il 15 luglio scorso quando a Chieti, in via Madonna della Misericordia, alla ripresa del flusso dopo l’interruzione notturna diversi contatori sono stati intasati da detriti e melma. Non è un caso, allora, se in Abruzzo il 35,1% degli abitanti non si fida di bere l’acqua del rubinetto: una percentuale tra le più elevate in Italia.
«Un altro problema troppo spesso trascurato – osserva la presidente del WWF Chieti-Pescara Nicoletta Di Francesco – è legato al dissesto idrogeologico che riguarda larga parte del nostro territorio: le perdite occulte, che possono andare avanti per anni, disperdono acqua nel sottosuolo e possono contribuire in maniera importante a frane e smottamenti. Le perdite sotto il manto stradale, inoltre, si “scoprono” solo quando l’acqua sgorga. L’ACA ripara (con i suoi tempi) ma spesso le “pezze” sull’asfalto reggono poco e i Comuni sono costretti a rimediare a spese del contribuente».
«Si tenga conto – dice ancora Nicoletta Di Francesco – che in Italia ci sono circa 37.400 fonti di prelievo per usi idropotabili, l’84,7% delle quali sotterranee, tra pozzi e sorgenti. Una percentuale impressionante che sale a oltre il 94% nell’Appennino centrale: stiamo pompando acqua sotterranea in quantità enormi e poi la disperdiamo. La priorità è quella di rinnovare e risistemare le reti, di sicuro non quella di aumentare emungimenti da preziose riserve».
Discorso analogo in agricoltura: lo scavo di ulteriori vasche di raccolta con precipitazioni sempre meno frequenti e con falde impoverite (da tutelare e non da sfruttare all’infinito) non sembra una soluzione davvero utile.
Pure il consumo di suolo incide: «Ogni nuova costruzione – osserva Di Francesco – comporta l’adeguamento dei servizi: reti idrica, elettrica, fognante, e questo inevitabilmente accentua i problemi. Una ragione in più per preferire la ristrutturazione di edifici già esistenti piuttosto che allargare il perimetro urbano, proprio mentre il numero degli abitanti cala. Non si dimentichi che abbiamo avuto a disposizione una occasione storica per risistemare almeno parte delle reti, con la gran massa di denaro stanziata grazie al PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma si è preferito investire in altro, col risultato che i problemi continueranno ad aumentare».
Quali soluzioni, allora? Risparmiare sui consumi, certamente; razionalizzare l’uso; migliorare l’efficienza e la rapidità nelle riparazioni; riguadagnare la fiducia dei cittadini, ad esempio emettendo bollette comprensibili (quelle dell’ACA certamente non lo sono) e rispettando alla lettera il piano delle chiusure notturne. Tutte cose importanti, ma l’unica strada che potrebbe portare davvero a cancellare il problema è risistemare le reti. Un intervento complessivo costerebbe miliardi, come ha osservato qualche giorno fa il sindaco di Pescara, ma le sostituzioni si possono fare anche un tratto alla volta a partire da quelli più vicini ai serbatoi e se si cominciasse subito qualche risultato positivo potrebbe arrivare già l’anno prossimo. Restando solo a guardare le cose non possono che peggiorare.
UNA RETE COLABRODO
La rete di distribuzione idropotabile in Abruzzo, e in particolare a Chieti e Pescara, è in pessime condizioni. Il Report sull’acqua relativo agli anni 2020-2023, pubblicato dall’Istat nel marzo scorso, certifica il sostanziale fallimento dell’operato di molte delle aziende a capitale pubblico alle quali è affidata la gestione delle reti idriche nel territorio regionale. L’Abruzzo nel suo complesso è nella top cinque negativa della dispersione idrica, al secondo posto assoluto col 62,5% (dati del 2022, gli ultimi al momento disponibili, ma nulla lascia pensare che nel 2023 possa esserci stata una inversione di tendenza) e tra le sole cinque regioni che perdono per strada più della metà dell’acqua prelevata dalle sorgenti. Peggio di noi solo la Basilicata (65,5%).
Nei capoluoghi di provincia la situazione è altrettanto allarmante: Chieti sciupa nelle reti il 70,4% dell’acqua immessa ed è seconda tra le città meno virtuose d’Italia, preceduta solo da Potenza (71%) e inseguita da L’Aquila (68,9%). Pescara perde il 54,8%, dato che la colloca in 21esima posizione. Se la cava unicamente Teramo (27,9%). Un’eccezione positiva che non cancella la situazione complessiva da incubo. Basterà un ulteriore dato per rendersi meglio conto: nel 2022 – lo ha ricordato recentemente anche Confartigianato – nella nostra regione sono stati immessi in rete 253,4 milioni di metri cubi di acqua, pari a 545 litri pro capite al giorno, ma ne sono stati erogati solo 95,1 milioni, cioè 205 litri pro capite (214 in Italia). Davvero sconfortante…
Nella foto: una copiosa perdita d’acqua in via Salomone, a Chieti, nel luglio 2020 riparata da ACA SpA quasi 48 ore dopo le segnalazioni dei cittadini.