La vita per lui non è cambiata, perché vive isolato tutto l’anno. In montagna, con le sue cento capre, fa la vita di sempre, quella che ha inseguito, caparbiamente costruito e che lo rende felice. Lontano, ma non estraneo alle ferite del mondo di sotto. Leonardo Angelucci è un giovane che ha scelto di fare il pastore e, dalla sua piccola fattoria sulle alture di Lettopalena, Casetta Bianca, dice «ci sono anch’io», vuole aggiungere un anello a quella catena di solidarietà, ogni giorno più lunga, che cinge la sanità pubblica.
«In questi giorni drammatici di emergenza Coronavirus sto seguendo con apprensione le notizie che arrivano fin qui, sulle montagne, nei pascoli che mi ospitano – racconta – e mi sono chiesto come fare la mia parte per aiutare la comunità a fronteggiare questo terribile momento, io che, come pastore, ho l’enorme privilegio di potermi non fermare. Ho deciso allora di donare l’intero ricavato della vendita dei prodotti per Pasqua ai reparti di terapia intensiva. Ringrazio il Parco Nazionale della Majella, il Comune di Lettopalena e il mio caro amico nonché grande pastore Fabrizio Paterra, che mi hanno dato tutta la disponibilità per sostenere l’iniziativa. Pertanto verserò la somma sul conto corrente dedicato all’Emergenza Covid-19 della Asl Lanciano Vasto Chieti, per supportare l’assistenza di tipo intensivo di cui i malati hanno bisogno».
Parole che raccontano un sentire lontano eppur presente di un pastore 4.0, che ha messo insieme i suoi studi, le tecnologie e la preziosa esperienza trasmessa dagli anziani del mestiere per realizzare “Casetta bianca”, piccola azienda nata da una stalla abbandonata. Leonardo ha scelto di lasciare Roma e vivere nella terra dei suoi nonni dopo una laurea in zootecnia.
«Ho studiato, approfondito le tecniche di lavorazione del latte, conosciuto i pastori locali, ascoltato le loro storie, ricomposto tutti i pezzi e maturato la mia decisione. – dice ripercorrendo gli ultimi cinque anni – Qui ho il mio gregge, i pascoli, il caseificio dove trasformo solo il latte delle mie capre, rigorosamente crudo, senza l’aggiunta di coadiuvanti né di fermenti. Mi piace l’idea di far rivivere la tradizione casearia abruzzese in luoghi nei quali la figura del pastore sta scomparendo e dove, invece, è stata una figura che ha contribuito all’economia e alla storia di questo territorio. Nel rispetto di questo patrimonio ho scelto di allevare capre provenienti dalle greggi dei pastori più anziani che da sempre popolano questi pascoli».
Una storia personale che si intreccia con quella dei luoghi e riporta Leonardo, con la complicità della sua amata Irene, nella terra dei suoi nonni, che lo ripaga offrendo una casa, anzi una “casetta” al suo progetto di futuro. Che rinsalda un patto tra generazioni e territorio ed entra in punta di piedi nella drammaticità di questi giorni. Da quella Majella protagonista di storie di resistenza e di salvezza in tempi non troppo lontani, spunta una mano tesa, uno slancio di generosità da spendere in questa nuova economia di guerra. Lassù l’aria è fresca, limpida, pulita e nutre il respiro. Qui a valle si combatte per vincere la battaglia 4.0: respirare. Ma arriverà quell’aria benefica a salvare i nostri malati.