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  • Quelle belve naziste che curarono i bambini di Capracotta

    «Scappò il nemico, venne l’Inglese; nuovo padrone, nuove pretese!». Sono le parole della poesia di Nicola D’Andrea, poeta di Capracotta che visse quelle drammatiche giornate durante le quali il piccolo centro montano dell’Alto Molise si vide schiacciato, come tra l’incudine e il martello, tra la follia della terra bruciata nazista e la scellerata scelta di bombardare a tappeto degli inglesi e americani. Ne ha citato un passo, quello più significativo, nel corso del suo intervento, Vincenzino Di Nardo.

    Proprio lo storico locale ha tracciato, grazie al racconto di episodi e testimonianze dirette, una pagina di storia capracottese che non tutti conoscono. L’occupazione tedesca fu il male minore per la popolazione residente, ha spiegato Di Nardo, perché tra le famiglie locali e i nazisti si instaurò un rapporto di cordialità. Addirittura ci sono stati diversi episodi di aiuto prestato dai tedeschi alla popolazione locale, in termini di assistenza sanitaria. Molti bambini, infatti, vennero curati presso l’infermeria del campo nazista.

    Racconti ed episodi che non sminuiscono, certo, le responsabilità dei tedeschi. Per la popolazione di Capracotta fu molto peggio la coesistenza forzata con coloro che avrebbero dovuto essere i liberatori. Capracotta fu rasa al suolo dalle bombe di inglesi e americani e poi gli stessi reparti in armi degli Alleati si abbandonarono a profonde razzie, depredando anche quanto di più prezioso si conservata nelle case dei capracottesi: le “casce” di legno che conservavano le doti nuziali delle spose. Insomma, all’occupazione nazista si avvicendò quella inglese, che fu più dura e peggio sopportata dai locali. Solo con i soldati polacchi le cose cambiarono, forse perché più simili ai molisani anche per usi, costumi e tradizioni religiose, come sottolineato dallo stesso Vincenzino Di Nardo.

    Francesco Bottone

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