Orso ucciso a fucilate, assolto l’imputato perché il «fatto non costituisce reato» in quanto il colpo sarebbe partito accidentalmente dal fucile. E’ quanto sancito in una sentenza del tribunale di Sulmona. Registriamo sull’argomento il commento di Dario Rapino, avvocato e fotografo naturalista abruzzese.
Nel 2014 un orso marsicano (ricordiamo, specie ad una passo dall’estinzione) venne ucciso con un colpo di fucile alla schiena. L’autore del gesto, individuato dopo accurate indagini, intendeva vendicarsi del “furto” di alcune galline (valore qualche euro). Tratto a processo, oggi il Tribunale di Sulmona, su conforme richiesta del PM, lo ha mandato assolto “perché il fatto non costituisce reato”, ossia non c’era alcuna intenzione di uccidere da parte dell’uomo. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, pare che questa si baserà sulla circostanza che il colpo sarebbe partito accidentalmente, a causa della scivolata dell’uomo. Non parlo mai né dei processi né tantomeno della sentenze e le poche volte che lo faccio è perché ho buona conoscenza degli incarti processuali, come in questo caso. Dico senza tema di smentite che, se al posto dell’orso ci fosse stata una persona, nessun giudice si sarebbe avventurato in una soluzione così pilatesca ed insensata. Perché è certo che l’uomo, non nell’immediatezza del fatto, ma a distanza di tempo aveva covato rancore verso l’animale che si era mangiato le sue preziose galline (tenute incustodite in una zona frequentata da predatori); era uscito con il fucile non per fare una passeggiata, lo aveva tenuto armato con il colpo in canna e senza sicura, elementi questi univoci nel rivelare animus nocendi (come dicono gli esperti di diritto). Peraltro tutto ciò era stato non solo accertato dai Forestali che avevano indagato, ma ammesso dallo stesso imputato. Ora, pensare che, del tutto casualmente, l’uomo sia scivolato ed il colpo sia partito non seguendo la logica traiettoria disegnata dalla forza di inerzia della caduta (verso l’alto o verso il basso) ma attingendo millimetricamente una parte vitale dell’orso, è una favola che non si può raccontare neppure ad un ubriaco. Ma era “solo” un orso appunto, a chi volete che importi? Uno in più uno in meno, cosa volete che conti? Avere giustizia, ossia statuire con sentenza letta in nome del popolo italiano che un orso non può e non deve essere ucciso, perché patrimonio dell’intera comunità e dell’ecosistema, ora sarà davvero difficile. Il PM, che ha chiesto l’assoluzione non potrà appellare, né potranno farlo le parti civili costituite. La speranza è che lo faccia il Procuratore della Repubblica distrettuale. Lo farà? Chissà. E la Corte di Appello avrà il coraggio, la sensibilità e la maturità per sentenziare che no, un orso non può e non deve essere ucciso?
Dario Rapino