Sulla Majella “il lupo riporta la pecora”. Il programma di restituzione delle pecore predate, ideato dal Parco Nazionale della Majella e qui sperimentato per la prima volta in Italia, prosegue nel segno della coesistenza tra esigenze di conservazione dei carnivori selvatici e tutela delle attività zootecniche tradizionali. Proprio la scorsa settimana, l’Ufficio Veterinario e Zootecnia del Parco ha provveduto ad effettuare la restituzione di un gruppo di pecore, merinizzate, di alta genealogia e controllate dal punto di vista sanitario, ad un allevatore di un paese del Parco della Provincia di Chieti che aveva avuto di recente un danno abbastanza consistente, causato da un’aggressione da parte del lupo. Il programma di restituzione delle pecore predate, avviato in occasione di un progetto Lifee poi portato a termine grazie al sostegno del Ministero dell’Ambiente, anche mediante uno specifico progetto per la salvaguardia della biodiversità, chiamato “Wolfnet 2.0“, prevede infatti che l’allevatore danneggiato possa opzionare per la restituzione di animali in vita piuttosto che accettare l’indennizzo in denaro.
«La compensazione economica del danno ricevuto – spiega l’attuale Direttore facente funzione del Parco, Luciano Di Martino – è portata avanti regolarmente dall’Ente Parco, sia per quanto riguarda le colture, con i cinghiali, sia per quanto riguarda gli animali monticanti, con il lupo e, in misura certamente inferiore, con l’orso. Tuttavia l’indennizzo economico pone il problema del mancato riconoscimento della perdita del valore dell’animale per quella che sarà la sua vita produttiva, e dunque trova spesso allevatori insoddisfatti nel ricevere una compensazione economica che solo parzialmente risolve il conflitto creatosi. Con la restituzione della pecora predata invece si è voluta avviare una nuova forma di disponibilità dell’ente parco e un metodo innovativo di indennizzo, che sia in grado di ripristinare le condizioni dell’allevamento iniziali».
Il programma elaborato dal Parco si sviluppa, in realtà, su due principali modalità. La prima è quella, appena citata, della restituzione dell’animale in luogo del pagamento dell’indennizzo, la seconda è quella della restituzione, una tantum, di un numero di capi pari a quelli dispersi, non sottoposti a perizia e, dunque, non indennizzati, nell’ambito di eventi predatori accertati.
«L’iniziativa ha riscosso un buon successo, – dichiara il Vice Presidente dell’Ente Parco Claudio D’Emilio – proprio perché è stata ideata grazie alla vicinanza dei nostri tecnici al territorio e alla capacità di comprendere le esigenze degli allevatori, andando oltre le normali procedure. Non tutti, in realtà, fanno ricorso a questa opzione, ma gli allevatori più giovani e che intendono preservare il loro patrimonio aziendale, possono usufruire di questa possibilità che dal danno porta non solo a contenere le perdite, ma addirittura a sviluppare delle opportunità di miglioramento, dal momento che le pecore restituite sono di razza merinizzata italiana, iscritte all’albo genealogico. Un modo innovativo di interpretare la possibilità di far convivere lupo e orso con la valorizzazione delle nostre aziende zootecniche».
Questo programma di restituzione comporta, tra l’altro, spese molto contenute al Parco, perché negli anni l’ente ha provveduto a fare piccoli investimenti istituendo il “gregge del Parco“, un gruppo di animali tenuto in Convenzione da due allevatori del Parco, uno nel versante pescarese, uno nel versante chietino della Majella, che, a particolari condizioni di compensazione economica, provvedono alla gestione degli animali, fornendo, di fatto, un bacino di pecore, controllate costantemente dal punto di vista sanitario, dal quale attingere in caso di necessità, per garantire la più idonea forma di ristoro agli allevatori danneggiati.
E così il lupo, sulla Majella, preda le pecore e poi, gentilmente, le riporta, se possibile anche migliori, rispettando, allegoricamente, un po’ il suo ruolo di selezionatore e di predatore astuto, temuto, ma mai odiato dalla nostra gente.