POGGIO SANNITA – “Se nell’arco di sette-otto anni non ci sarà un ricambio generazionale, il comparto rischia di sparire”.
L’allarme è lanciato da Fabio Battista perito agrario 42enne, da sedici anni proprietario con il socio Giuliano Porrone del frantoio “San Cataldo” di Poggio Sannita, uno dei più rinomati della zona.
“Come potete vedere – illustra durante l’intervista rilasciata a l’Eco nel suo frantoio – la trasformazione di olio extravergine di oliva avviene ancora con il metodo tradizionale che a mio avviso resta il migliore. L’annata non è stata delle migliori – prosegue – colpa della mosca olearia che in altre zone, come ad esempio in Basso Molise, ha fatto danni irreparabili. Noi ci siamo ‘salvati’ grazie al clima e ad una altitudine che fa attecchire in parte questo parassita. Rispetto gli altri anni comunque la produzione è calata del 50%: da 3000 quintali di olive ‘spremute’, siamo passati a circa la metà”. Tuttavia la qualità è ottima. “Basta vedere il tasso di acidità pari allo 0,45% su 100 grammi di olio (0,8% è il tetto fissato per l’olio extravergine di oliva) a conferma della bontà del prodotto” aggiunge Battista. Anche il prezzo è concorrenziale. Infatti un litro di olio extravergine è venduto a otto euro e cinquanta centesimi, nonostante l’annata disgraziata. Olio, dunque, eccezionale, ricercato da casalinghe e ristoratori, buongustai e appassionati che amano la cucina sana. Ma per raggiungere un prodotto di così alto livello occorrono braccia e un intenso lavoro preparatorio che inizia dal mese di febbraio. Potatura, concimazione, trattamenti e infine la raccolta, allontanano i giovani da questa che può diventare una professione.
“Non né parliamo proprio. Ogni anno nel nostro frantoio vediamo i soliti volti, le solite facce appesantite dalla fatica degli anni e dalle rughe. Persone sopra i cinquant’anni che tra non molto, come ovvio, abbandoneranno i campi per sopraggiunti limiti d’età. Di giovani neppure l’ombra. E poi si lamentano che non c’è lavoro – sottolinea amaramente -. Con la produzione e trasformazione delle olive non ci si arricchisce, ma se fatta in maniera seria e scrupolosa, se fatta con passione, ci si campa dignitosamente, ve lo assicuro. Io e il mio socio siamo partiti da zero. Lavoravamo come operai in un altro frantoio di Poggio Sannita quando nel 2000 abbiamo deciso di metterci in proprio. Oggi siamo fieri di averlo fatto”.
Resta il fatto che molti campi sono abbandonati e centinaia e centinaia di piante non ricevono le attenzioni del caso. “E’ la realtà. Per questo dico che tra sette, otto anni il comparto rischia il collasso. Una soluzione potrebbero essere i migranti che stazionano o bivaccano nei vari hotel. Se debitamente formati e remunerati sarebbero una risorsa per la nostra agricoltura. Il problema è che nessuno fa niente affinché, questa gente venuta in Italia per lavorare, possa effettivamente rendersi utile per il Paese. Così di manodopera non se ne trova e i nostri campi vanno in malora”.
Intanto prolifica il mercato della contraffazione. “Spesso sentiamo parlare di blitz delle forze dell’ordine in merito ad olio importato da nazioni come Spagna, Grecia e Tunisia che finisce sugli scaffali dei supermercati spacciato come olio italiano, per non parlare di prodotti allunganti o miscelati con sostanze spazzatura. Una situazione che rafforza il discorso della qualità che a mio avviso è la nostra arma vincente”.
Insomma le parole chiave sono: alta qualità, salvaguardia dell’ambiente, lavorazioni tradizionali e incentivazione al mondo dell’agricoltura. “Serve educare e spingere le giovani generazioni a tornare all’agricoltura. Per farlo serve istituire una scuola per periti agrari come proposto qualche tempo fa dall’ex assessore all’Agricoltura del Comune di Agnone, Daniele Saia. Io sono dovuto andare in convitto a Scerni per frequentarla. Non me ne pento …” (foto di Danilo Di Nucci)
MdO