Nel quarantesimo anniversario del devastante terremoto che distrusse l’Irpinia, l’Eco online ripropone una intervista al capo reparto dei Vigili del fuoco, Renato Carosella, oggi in pensione, ma il 23 novembre di 40 anni fa, insieme ad altri colleghi, tra i primi ad intervenire sulle macerie che tra Campania e Basilicata causarono 3000 morti e 280mila sfollati.
Ha imparato a conoscere il dolore della gente attraverso i terremoti. Friuli, Irpinia, Marche, Umbria, San Giuliano di Puglia. In 36 anni di carriera con addosso sempre la stessa divisa, Renato Carosella, capo reparto in pensione dei Vigili del fuoco, ne ha viste tante. “Ma quella del terremoto è una esperienza che ti segna la vita”, racconta oggi. “A sessantasette anni dormo due ore a notte, perché, credetemi, quelle immagini sono incancellabili”. Vigile del fuoco vecchio stampo, sempre ligio al dovere e al Corpo che gli ha dato la possibilità di farsi una famiglia, istruttore alla Capannelle e Castelnuovo di Porto (Roma), capo squadra, capo reparto esperto, Renato Carosella rappresenta un pezzo della storia dei Vigili del fuoco di Agnone.
“Ricordo ancora quando eravamo di stanza a Maiella, una struttura angusta senza riscaldamento, scarsi mezzi e divise ma sempre pronti ad aiutare la gente in caso di necessità”. Riavvolge il nastro di quella che è stata la sua carriera professionale e ossessivamente ripete: “Rifarei tutto dalla A alla Z”. Come quando nel 1976 fu spedito a Gemona del Friuli, dove il terremoto del 6 maggio provocò 400 morti. “Avevo 26 anni e per la prima volta mi trovavo di fronte ad una catastrofe del genere. Ci demmo subito da fare, cercando non solo di aiutare materialmente quelle popolazioni, ma soprattutto di confortarle, di star loro vicino anche se solo con una parola, un sorriso, un abbraccio. E sì – dice Carosella – perché essere Vigili del fuoco non è scavare solo tra le macerie a mani nude ma, principalmente, capire lo stato d’animo di chi hai di fronte”. La testa si abbassa, lo sguardo si incupisce e gli occhi si gonfiano di lacrime.
La memoria torna al 23 novembre 1980: l’Irpinia viene devastata da un terremoto che alla fine mieterà circa 3000 vittime. “Decimo grado della scala Mercalli, ci dissero. Ricordo ancora come fosse oggi quella domenica. La radio si collegava spesso con Torino per Juventus – Inter, noi fummo mandati a Pescopagano, in provincia di Potenza, a scavare in un bar distrutto per recuperare i corpi di cinquanta giovani. La sera tirammo fuori vivo un ragazzo di otto anni, Diego, il cui nome venne urlato dalla mamma per tutta la durata delle operazioni. Si tornava a dormire in tende arrangiate e si piangeva. Non mi vergogno a dirlo, non potrei, perché mentre il giorno eri costretto a farti forza, la notte scoppiavi in lacrime,lontano dagli occhi di chi stava peggio di te. Si scavava con badili, piccozze, spesso con le mani. Quel terremoto colse impreparato il Corpo dei Vigili del Fuoco e ne mise a nudo le criticità. Successivamente, memore di quella esperienza, si trasformò in una vera armata per qualsiasi emergenza”.
Lo sguardo si perde nel vuoto e un’immagine riaffiora in tutta la sua drammaticità. “La cosa più che mi è più rimasta impressa di quei giorni – ci racconta – sono le centinaia di bare viste a Conza della Campania e l’odore di morte che si respirava e si attaccava sui vestiti e nelle narici. Impossibile dimenticare anche la scena del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che con due Carabinieri e la mascherina sulla bocca si precipitò su quelle macerie”. Scene apocalittiche quelle dei paesini arroccati sulle montagne rasi al suolo da quel mostro implacabile chiamato sisma. “L’Irpinia è una ferita che non si chiuderà mai – racconta Carosella – un’esperienza di due mesi che mi ha forgiato e fatto capire il dolore della gente”. A distanza di diciassette anni da quel disastro, Carosella, sarà chiamato ancora ad essere protagonista in Umbria e nelle Marche: anno 1997. “Nonostante quel terremoto non causò molte vittime, la disperazione della gente era palpabile. In migliaia persero il frutto di anni e anni di sacrifici. Abitazioni squarciate, persone che piangevano e imploravano il nostro aiuto. A differenza dell’Irpinia, grazie a uomini ed attrezzature all’avanguardia, fronteggiamo l’emergenza in maniera egregia”. L’ultima trincea nel 2002 a San Giuliano di Puglia. Le vite di ventisette bambini e di una maestra sradicate sotto le mura di una scuola. “Oggi che dedico la mia vita al mio nipotino – sottolinea Carosella – e lo guardo sorridere penso sempre a quanto avvenne a San Giuliano. Appena giunti sul posto capimmo la gravità della situazione, scavammo a mani nude notte e giorno. Fu orribile apprendere della morte di quei ventisette angeli e della loro insegnante. Dinanzi a simili eventi capisci quanto sei impotente”. In 36 anni di carriera, oltre ai terremoti, migliaia e migliaia di interventi in svariate situazioni di emergenza. Dagli incendi nei periodi estivi, alle nevicate polari, sempre al servizio della gente. Nel 2007 Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica italiana, ha conferito l’onorificenza di Cavaliere a Renato Carosella, che oggi intende rievocare la memoria di alcuni suoi colleghi scomparsi: “Domenico Chiarizio, Ettore Natarelli e Guglielmo Di Pasquo, da loro ho appreso tantissimo. Sono stati dei maestri di vita e dei Vigili del fuoco con la V maiuscola. Se oggi Agnone ha un distaccamento lo deve anche a loro”. Infine, Carosella tiene a puntualizzare un aspetto. “Un vigile del fuoco non si riconosce dai gradi o dalle onorificenze, ma da come sa fronteggiare casi estremi, dalla sicurezza che riesce a trasmettere ai colleghi più giovani appena suona la sirena. Questo ho imparato e ho cercato di fare”. Al termine dell’incontro, Carosella rivolge una domanda a noi: “Perché mi avete intervistato, d’altronde non ho fatto che il mio mestiere”. Il perché è presto detto, racchiuso nella storia professionale di un uomo semplice che con passione, dedizione, senso del sacrificio e spirito di iniziativa ha aiutato a lenire i dolori e le paure più angoscianti delle persone.