Dopo aver trascorso il Natale e San Silvestro ed un inizio di Capodanno in famiglia, è ripartita alla volta di Milano. L’agnonese Gloria Marinelli, attaccante e all’occorrenza centrocampista esterna offensiva dell’Inter, è pronta a proiettarsi sulla ripresa delle ostilità nella massima serie in rosa che, tra due settimane, proporrà l’ultimo match del girone d’andata e, per le nerazzurre, la sfida interna contro la leader Juventus, formazione sinora imbattuta.
Alla terza stagione con le nerazzurre, la figlia d’arte non smette mai di ricordare però come «la mia carriera è partita da molto piccolina. Sono andata via di casa a soli quattordici anni e mezzo grazie a mia sorella, la mia sorella maggiore che mi ha accompagnato lontano dal mio paesino, Agnone. È stato difficile, ma io credo che, col tempo, i sacrifici vengono sempre ripagati e così, dopo un percorso lungo e pieno di ostacoli, andando via dalla comfort zone e ritrovandosi in mezzo a persone diverse ed una mentalità differente, ci sono sempre delle difficoltà, però poi alla fine arrivano i risultati e sono molto felice di essere arrivata adesso a giocare in serie A con l’Inter, ma ho obiettivi molto più grandi che, piano piano, riuscirò a conquistare, sperando di essere sempre più professionale e credendo nei mei sogni».
Un pilastro – anche da un punto di vista tecnico – per la Marinelli è il papà Mauro, ex bomber e bandiera dell’Olympia Agnonese: «Lui – discetta – è il mio primo tifoso ed è sempre un mio allenatori. Nei giorni in cui sono stata ad Agnone, libera da impegni, durante gli allenamenti mattutini veniva con me, mi aiutava, mi prendeva i tempi, ma dove ringraziare tutta la mia famiglia, le mie sorelle, che sono fan numero uno, supportandomi e sopportandomi ogni giorno, perché il mio non è un carattere molto facile, ma sono contenta e li ringrazierò per tutta la vita perché la famiglia è il primo universo e ti consente di fare un ‘passo avanti’».
A proposito di carattere, Marinelli specifica come «penso di avere un carattere molto forte, che è dato dal fatto che io sia andata via presto di casa dovendo affrontare persone difficili sin da quattordici anni. Da questi eventi, però, ho capito tanto. Ho inteso cosa vuol dire fare un sacrificio, aiutare una compagna e quindi, anche per questo, pretendo tanto dalle mie compagne ed anche per questo voglio sempre di più da me stessa e dalle mie compagne. Del resto, in uno sport di squadra come il calcio c’è bisogno dell’insieme: se una va, anche le altre si esprimono al meglio. Un team calcistico è come un’orchestra. Se uno strumento non funziona, non funziona niente. Ed è proprio per questo che pretendo tanto da me e dalle mie compagne cui voglio tanto bene».
Un aspetto, quello dell’insieme, che per certi versi si è ancora più rafforzato nell’epoca della pandemia, che ha caratterizzato con forza il 2020 da poco concluso. Tornando sul primo periodo e sul lockdown, Marinelli non può non ricordare come «per fortuna sono riuscita a scappare da Milano e restare ad Agnone. A marzo, prima del lockdown totale, sono riuscita a rientrare nella mia residenza. Mi sono dovuta fare quindici giorni di quarantena, li ho fatti da sola in un locale completamente privato. Dopo quelle due settimane ho sofferto tanto perché mi mancava la mia vita, che è piena di sport, di calcio, di università, di amicizie. Ho avuto un periodo in cui ero un po’ giù perché mi mancava l’energia della mia vita, però ho poi colto l’aspetto positivo ossia il riuscire a stare con la mia famiglia finalmente, essendo andata via di casa molto presto e sono così riuscita a passare tantissimi giorni con loro tra allenamenti, studio, partite a carte in casa con le mie due sorelle, papà e mamma. È stato difficile, ma allo stesso tempo costruttivo perché mi ha fatto capire ancora quanto io voglia giocare a calcio, stare in mezzo alle persone, alle mie compagne ed allenarmi, allenarmi cioè tutti i giorni con loro perché, poi, alla fine, la differenza è stata non il non allenarsi, perché comunque mi tenevo attiva tutti i giorni, ma quando si fatica, mi piace farlo assieme alle mie compagne col sostengo di un preparatore atletico o dello stesso mister. Invece, allenarmi da sola correndo su un tapis roulant oppure fare forza con i pesi realizzati in casa mi ha fatto un po’ soffrire, ma mi ha fatto comprendere contemporaneamente quanto ci tenga a stare in gruppo, a sudare cioè assieme alla mia squadra».
Impegnata anche con la nazionale oltre con il club, in azzurro – ai Mondiali under 17 nel 2014 – Marinelli serba uno dei ricordi più belli, quello dell’esperienza in Costa Rica culminata con un bronzo finale e con, nel ruolino personale, due reti, di cui un gol da favola proprio alle padrone di casa.
«Quella è stata la rete più bella della mia carriera e da lì sono poi salita col gruppo Under 19, con quello under 23 ed ho avuto anche le mie convocazioni con la formazione ‘A’ (la selezione maggiore, ndr) in quest’ultimo anno e mezzo (con un’esperienza, tra l’altro, anche alle Universiadi, ndr). È stupendo essere in azzurro. Peraltro, cantare l’inno è il momento più emozionante e più bello perché in quel momento stai rappresentando la tua nazione. E così anche fare un gol per la tua patria, portare in alto il tuo sport, ha sempre un peso maggiore e quindi anche questa realizzazione ha finito con l’incorniciare tutto il percorso fatto sin da bambina ed è stato bellissimo vivere quel momento. Non lo dimenticherò mai e rimarrà sempre nel mio cuore. Anche le compagne, alcune delle quali non vedo non più, comunque fanno parte di me e continuiamo a sentirci ed è proprio per questo che mi piace il calcio perché è uno sport d’insieme ed occorre completarsi l’una con l’altra».
Addicted all’antico 11, da quando è a Milano Marinelli è passata al 7, tanto da essere etichettata in questa stagione come GM7. Un cambio di fronte figlio – spiega la diretta interessata – di «un errore».
«Il sette mi è stato assegnato per sbaglio. Io avevo l’undici e non si poteva toccare. Due stagioni fa – racconta – mi è stato dato il sette per un errore di stampa e, infatti, parlando con il magazziniere, dicevo: “Per favore ridatemi l’undici perché ho bisogno del mio numero”. Poi, però, giocando con il sette, in tre-quattro partite ho iniziato a segnare e fare buone prestazioni. E, alla fine, il magazziniere mi ha detto: “Ma sei sicura che vuoi cambiare numero?”. Al che gli ho risposto: “Sai cosa c’è, lasciamo il sette per questa stagione e poi vedremo”. Ed ho dato poi vita ad una stagione magnifica. La mia squadra è stata promossa dalla serie B alla A e, inoltre, sono stata il capocannoniere della stagione, oltre che del raggruppamento, con ventisei reti». Realizzazioni che, invece, nell’attuale torneo assommano «tra Coppa Italia e campionato ad otto».
Proiettandosi, poi, sul prossimo match contro la Juventus, Marinelli spiega che «di fronte avremo una squadra fortissima, da cui dovremo rubare tutte le situazioni belle. Ma senz’altro le affronteremo a viso aperta e senza paura».
Nel merito, poi, della differenzazione tra maschile e femminile, la giocatrice agnonese argomenta: «Come caratteristiche, ad esempio, nella nostra omologa squadra maschile mi piace Lukaku perché è grande ed altruista, servendo assist per i compagni e preferendo questo magari al gol. È un dettaglio che adoro ancor di più mentalmente oltre che sotto l’aspetto fisico in cui è devastante. Ed è qui che c’è la differenza tra uomo e donna. Delle caratteristiche anatomiche differente: una prestanza maggiore, in uno scatto, in uno spalla contro spalla, noi non potremmo mai competere con ragazzi della nostra stessa età. Infatti, quando facciamo delle amichevoli, le facciamo con ragazzi, ma più piccoli, e quell’allenamento è solo fisico perché ci serve a correre e mettere davanti la furbizia. Senz’altro da loro dobbiamo rubare qualcosa, ma ci sono aspetti fisiologici impossibili da cambiare. Noi, però, come calcio femminile stiamo lottando tantissimo per cercare di diventare professioniste e lo faremo di qui alla prossima stagione ed avremo tutti i diritti e quanto abbiamo bisogno, qualche stimolo in più e magari anche un po’ di pubblicità in più, perché, secondo me, il calcio femminile è uno sport bellissimo fatto soprattutto di passione e non di soldi. Davvero i nostri rimborsi sono marginali. Per questo ci differenziamo perché giochiamo effettivamente a calcio».
Proprio in tema di riconoscimento dei diritti, tra l’altro, Marinelli spiega «che questa è stata una lotta lunga e molto faticosa portata avanti dalle giocatrici un po’ più ‘anziane’ perché si sono messe a combattere proprio per ottenere i diritti, le cautele che non abbiamo mai avuto e questo, secondo me, è fondamentale. Per quanto riguarda la visibilità, poi, è fondamentale che un po’ di gare siano trasmesse in televisione perché, proprio come hanno fatto vedere le ragazze che sono andate ai Mondiali quest’estate, hanno dimostrato quanto vale il calcio femminile e quanto siamo brave. Le caratteristiche fisiche, ovviamente, sono diverse: non si vedrà mai un calcio velocissimo, però è calcio e io ci metto la faccia e la pelle tutti i giorni per lottare contro tutte le discriminazioni che ci sono anche adesso, perché l’ignoranza è purtroppo questa, ma noi lottiamo, perché tante, come me, hanno fatto sacrifici nella loro vita ed andiamo oltre questi che sono a tutti gli effetti dei pregiudizi e, personalmente, continuerò a farlo finché il fisico me lo permetterà. Ci sono dei commenti sui social che, a volte, fanno rimanere male: ad esempio il portiere quanto è basso, oppure abbassate le porte o ancora rimpicciolite il campo. Sono dei commenti che non voglio sentire più e farò, faremo in modo, noi calciatrici di far cambiare idea a queste persone».
Relativamente al suo rapporto col Molise, poi, Marinelli con fierezza rivendica le proprie origini: «Ovviamente, avrei preferito in regione se ci fosse stata una squadra di un certo livello, dato che, purtroppo, non c’era nulla quando avevo quattordici anni e mezzo sono stata costretta a scegliere se lasciare il calcio o se andare via. Ho deciso di andare via, ovviamente, perché dovevo provarci per forza. Adesso, per fortuna, dico che le cose sono andate bene, sono felice, anche se ne ho passate tante, tanti sacrifici, tanti pianti, tanti alti e bassi, ma ora come ora sono felice e rifarei questa scelta altre mille volte. Poi, per quanto riguarda i pregiudizi, io mi inalbero tantissimo su questo discorso quando mi dicono “ah, sei molisana, allora esiste”. Non vuol dire che non si possano tirare fuori talenti da una regione più piccola. Abbiamo anche noi due gambe, due braccia e magari siamo anche più simpatici e mangiamo meglio. Infatti ho portato da noi, nel mio piccolo paese, delle persone importanti che vengono dal Nord rimaste a bocca aperta dai nostri territori e da quanto abbiamo, nonché dal calore che riserviamo alle persone. Infatti, adesso, nessuno si permetterebbe mai di fare un commento sulla mia regione perché sanno che mi innervosisco tanto. Le persone non possono parlare prima di conoscere».
Quanto, poi, al rapporto coi social: «A me piace starci, sono sincera, anche se non è la priorità. Ma avere un’immagine adesso è fondamentale per farsi conoscere un po’ in giro e per farti guardare anche da qualche sponsor che vuole contattarti».
Peraltro, a proposito di testimonial, Marinelli è stata scelta, nella passata stagione, dall’Inter per la campagna abbonamenti: «Sono stata fortunata ad essere stata designata ed ho avuto anche l’opportunità di conoscere anche qualche calciatore che è stato molto cortese con noi ragazze chiedendoci come andavano le cose. Lo sport è bello perché si conoscono persone belle, ma anche persone ‘brutte’ e questo serve da esperienza e ti fa capire chi vuoi essere e con chi vuoi stare o non vuoi stare».
Laddove – tra le persone con cui si vuol stare – ci sono senza dubbio gli amici «quei pochi e buoni che ci sono da sempre sia lontani, ad Agnone, che vicini a Milano. Sono fortunata, in questo senso, perché ho capito sin da subito chi c’è da vero e chi no».
di Vincenzo Ciccone – Intervista tratta da PrimopianoMolise