Un semplice prelievo di sangue aiuta a capire se “è’ Alzheimer” e a far luce nella galassia delle demenze. A Chieti è ora possibile fare un test che permette, in combinazione con la valutazione neurologica, neuropsicologica e strumentale, di capire se la perdita di memoria manifestata da un paziente è dovuta o no alla malattia di Alzheimer.
Una novità che in Abruzzo è appannaggio, al momento, della sola Clinica Neurologica dell’ospedale “SS. Annunziata”, diretta da Stefano Sensi. E’ possibile grazie a un apparecchio acquisito dal CAST dell’Università d’Annunzio a fini di ricerca clinica, che analizza il plasma con un sistema a chemiluminescenza, ed è in grado di dosare la concentrazione di due proteine, Beta amiloide e Tau, considerate fondamentali nel causare la malattia: se in una persona che manifesta segni clinici di deterioramento cognitivo vengono rilevati valori eccessivamente bassi della prima e alti della seconda, la malattia di Alzheimer è già identificata. L’utilizzo del test permette dunque una diagnosi tempestiva e selettiva, utilissima nella scelta di terapie specifiche e mirate.
“Per la ricerca clinica si tratta di un traguardo importante – specifica Sensi, nel doppio ruolo di Professore Ordinario e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche all’Università dell’Università D’Annunzio, nonché Direttore della Clinica Neurologica dell’ospedale di Chieti – . E’ una metodica che permette una diagnosi differenziata e ci proietta nel futuro, nella medicina di precisione. Con il dosaggio di queste proteine abbiamo un’opportunità in più per compiere un percorso più raffinato nella diagnosi e nella terapia, e formulare trattamenti personalizzati. Il test che ora abbiamo a disposizione ci pone in condizione di cercare i presupposti biologici della demenza di Alzheimer, con un tasso di accuratezza del 90%. Ed è oltremodo importante conoscere tali valori preliminarmente perché, qualora non evidenzino i segni della malattia si evita al paziente di sottoporsi a indagini invasive e costose, come la puntura lombare e la scansione PET con traccianti per l’amiloide, attualmente gli unici metodi considerati “gold standard” per la diagnosi dell’Alzheimer. Ancora: il percorso di diagnosi differenziale è fondamentale anche nella prospettiva di disporre a breve dei nuovi farmaci che sono indicati specificamente nella demenza di Alzheimer ma non in altre forme, come la demenza a corpi di Lewy, la demenza fronto temporale o le forme miste molto comuni nel grande anziano”.
Un fronte, quello delle nuove terapie, sul quale Sensi è impegnato attivamente da anni, anche con unaserie di importanti clinical trials. “Non siamo ancora arrivati a sconfiggere la malattia – chiude il Direttore della Clinica Neurologica – ma si stanno facendo importanti e significativi progressi in quella direzione, come anche sul piano della riabilitazione. A tal proposito stiamo mettendo a punto protocolli di stimolazione magnetica transcranica, che se utilizzati nelle prime fasi del declino cognitivo possono contrastare il processo neurodegenerativo, attraverso l’attivazione di meccanismi di plasticità neuronale”.