«Si apprendono dagli organi di stampa le dichiarazioni dell’assessore regionale Emanuele Imprudente e del presidente del Parco regionale Sirente Velino Francesco D’Amore circa la gestione del Cervo in Abruzzo e nel Parco, a seguito del convegno tenutosi il 30 aprile scorso a Fagnano Alto. Dichiarazioni che vanno tutte nell’unica direzione di intervenire sulla popolazione del Cervo e che lasciano alquanto sconcertati e perplessi».
Sono le dichiarazioni del WWF Abruzzo dopo l’incontro che si è tenuto nei giorni scorsi sulla gestione del cervo. Nel resto d’Italia il cervo è una specie cacciabile, che entra in filiera grazie alle sue carni succulente ed eccellenti, e crea indotto, vera e propria risorsa del e sul territorio, mentre in Abruzzo il solo pensare di fare gestione venatoria della specie viene considerato un’eresia.
«A modello si prende il Parco Nazionale dello Stelvio, dove viene effettuata un’azione di controllo sul Cervo basata sull’uso della carabina. -riprendono dal Wwf infatti – Come ricordato nel convegno stesso, il Parco dello Stelvio rappresenta un’unicità per la gestione del Cervo nel panorama delle aree protette, per cui non si comprende perché al convegno sia stata descritta solo questa esperienza e non quella di tutti gli altri parchi dove al Cervo certo non si spara. Nel porre la questione della presenza del Cervo nelle aree interne, si evince la necessità di dotarsi di studi più approfonditi sulla consistenza delle popolazioni dell’ungulato, ma sembra che l’abbattimento sia dato per scontato, quasi fosse una scelta obbligata. Non è così».
Perché no? Questa è la domanda alla quale dovrebbe rispondere il Wwf.
«È innanzitutto impossibile ipotizzare azioni senza una conoscenza approfondita della situazione: bisogna dotarsi di strumenti quali, ad esempio, la conoscenza della distribuzione sul territorio regionale della specie, della dinamica, del trend e dello status delle popolazioni, dei rapporti sesso/età… tutte informazioni che si possono ottenere tramite monitoraggi ripetuti per diverse annualità con metodologie confrontabili e riconosciute. Non risultano studi del genere a livello regionale tanto che nello stesso Piano Faunistico Venatorio predisposto dalla Regione Abruzzo si riportano i dati di una sola annualità. Si ricorda inoltre che, come riportato anche nell’appena citato Piano Faunistico, il prelievo venatorio nei Parchi è vietato e non sembra che in Abruzzo vi siano le condizioni di applicare deroghe a tale divieto. – continuano dal WWF – Vengono spesso richiamati i danni in agricoltura provocati dal Cervo e il pericolo di incidenti stradali, questioni queste certamente molto delicate e da tenere in seria e attenta considerazione. Per limitare tali problemi, però, esistono molteplici azioni che si possono attuare nel territorio, ma non risulta che ci siano programmazioni a scala regionale su queste tematiche. Per arginare i danni all’agricoltura si può implementare l’utilizzo delle recinzioni o delle varie tipologie di repellenti (uno studio dell’ARSIA Toscana ha dimostrato che l’uso di repellenti olfattivi riduce significativamente i danni da brucatura di cervo su piantine di olivo). Senza parlare di tutte le azioni che possono essere messe in atto per limitare il rischio di impatto con le autovetture: dissuasori visivi e sonori, potenziamento dei sottopassi, costruzioni di sovrappassi… gli esempi in bibliografia e anche in azioni concrete condotte nei Parchi e nelle Riserve naturali abruzzesi sono molteplici».
«Non si può poi ignorare l’interazione che il Cervo ha con le altre componenti dell’ecosistema, il ruolo che assume nella catena alimentare, rappresentando un’importante fonte trofica per il Lupo. Così come non si può far finta di non sapere che molta dell’eventuale pressione venatoria sul Cervo andrebbe a ricadere nelle aree di presenza dell’Orso bruno marsicano, al di fuori delle aree protette, aggiungendo ulteriore stress in zone dove la caccia ad altre specie è già permessa».
«Alcuni paesi in Abruzzo sono esempi virtuosi di convivenza possibile con i cervi, anzi ne hanno fatto un elemento peculiare e di riconoscibilità tanto che la presenza del Cervo è diventata anche un’attrattiva turistica. Spiace constatare che, invece, la discussione avviata dalla Regione e dal Parco regionale Sirente-Velino sia partita dalla volontà – più o meno mascherata – di accogliere le richieste dei cacciatori che, come già nel caso dei cinghiali, si ergono a risolutori di problemi senza portare in realtà alcun reale beneficio. Chiediamo alla Regione di avviare un confronto allargato, prevedendo questa volta un giusto contraddittorio, superando scelte anacronistiche e inefficaci: si deve puntare a soluzioni che garantiscano la corretta (e possibile) convivenza tra le attività umane e la presenza della fauna, così da assicurare la tutela e la conservazione di una delle biodiversità più importanti d’Italia e al tempo stesso il rilancio delle aree interne e l’affermarsi di un duraturo sviluppo sostenibile».