«Una Regione di trecentomila abitanti non può stare quindici anni in commissariamento, dopo che ha ridotto la sanità pubblica chiudendo l’ospedale di Venafro, quello di Larino, quasi chiuso quello di Agnone. Sono aumentati i costi, nonostante quei tagli, ma non è cresciuta l’efficienza. Come è possibile che i servizi siano stati tagliati e si va sempre di più in disavanzo?».

Daniele Saia, sindaco di Agnone, a ruota libera in materia sanitaria, a margine del consiglio comunale dei giorni scorsi, quello al quale avrebbero dovuto presenziare anche il presidente Roberti, il direttore dell’Asrem, Di Santo, e il commissario ad acta Bonamico.

Il triumvirato sanitario ha preferito sottrarsi alla raffica di proteste e richieste che intuibilmente sarebbero giunte dall’assise civica e dalla cittadinanza, optando per un pranzo di lavoro a base di pesce in un noto ristorante agnonese, insieme allo stesso sindaco Saia e al vicesindaco Di Nucci. Al netto delle questioni culinarie e delle scelte più o meno opportune di andare a mangiare il pesce anziché riferire sulle sorti dell’ospedale in Consiglio comunale, quel che interessa gli agnonesi è la cronica carenza di personale, soprattutto di medici, che sta mettendo in forse la permanenza in vita del “Caracciolo”.

«I medici devono andare dove dice loro di andare l’azienda per la quale lavorano, altrimenti vengono licenziati, come avviene altrove in Italia» ha suggerito il medico in pensione e rientrato in servizio proprio al “Caracciolo”, il pediatra Italo Marinelli. Una rotazione tra medici, insomma, all’interno dell’Asrem, con il personale che a turno verrebbe a prestare servizio presso l’ospedale di Agnone. Nulla di particolarmente complesso, se non fosse che la sede agnonese viene vista come il fumo negli occhi dai professionisti della sanità, come se si trattasse di un ospedale da campo su un fronte di guerra. Ordini di servizio, insomma, come avviene in una qualsiasi azienda pubblica o privata che sia: il lavoratore dipendente va dove serve, non dove vuole stare.

Quasi banale come discorso, ma che non ha convinto più di tanto il sindaco Saia, che infatti ha replicato a Marinelli: «E’ inutile dire ai medici, ok da domani vai ad Agnone. Quelli rispondono: ad Agnone ci vai tu. E lo possono fare perché stanno in una condizione di “mercato” lavorativo e sanitario all’interno del quale sono in posizione di privilegio. Se l’azienda sanitaria del Molise avesse dieci medici che fanno la fila per entrare, allora avrebbe senso il discorso del tu vai dove dico io. Mentre oggi i medici professionisti scelgono dove andare e a quale prezzo. Perché mentre negli anni scorsi andare a lavorare nella sanità pubblica era probabilmente la massima ambizione per un medico, oggi non lo è più, perché oggi i medici aspirano ad andare nella sanità privata dove guadagnano molto di più che nel pubblico, lavorando anche meno. Il problema è lì, a monte, è appunto creare le condizioni di mercato anche nel settore sanitario, ma questo deve farlo il legislatore». «La sanità privata funziona perché c’è il privato che paga meglio del pubblico e un medico che può scegliere, secondo voi, dove va? – ha continuato il sindaco nella sua analisi politica – Spesso si parla di attingere a medici provenienti dall’estero. Nel pronto soccorso dell’ospedale se ne sono licenziati due di medici venezuelani. Però noi, come amministrazione, anche in questi giorni abbiamo avuto interlocuzioni con persone che potrebbero portare ad Agnone dei medici ucraini. – ha poi svelato il primo cittadino, tirando fuori una notizia interessante – Stiamo vedendo se ci riusciamo, perché c’è un problema legato al riconoscimento dei titoli di studio. Oggi questa è una delle poche soluzioni. Magari non sarà risolutiva, ma ci stiamo provando».

Un tema, quello del riconoscimento dei titoli accademici dei medici ucraini, che in realtà è già stato superato dalla legge n. 15 del 21/02/2025 di conversione del Decreto Legge n. 202 del 27/12/2024, che ha prorogato fino al 31 dicembre 2027 la deroga sul riconoscimento dei titoli per i sanitari rifugiati ucraini. Ciò significa che i sanitari ucraini, quindi medici e infermieri, residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e che si sono rifugiati in Italia a causa della guerra, possono esercitare la professione in Italia presso strutture sanitarie pubbliche o private senza necessità di ottenere il riconoscimento della laurea dal Ministero della Salute, ma semplicemente esibendo alla struttura sanitaria il “Passaporto Europeo delle qualifiche dei rifugiati” o la documentazione da cui si evince inequivocabilmente che il soggetto è abilitato nel Paese di origine all’esercizio della professione sanitaria.

La struttura che recluta un professionista ucraino rifugiato, con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato o di collaborazione libero professionale, deve segnalarne il nominativo e i titoli alla Regione competente per territorio per ogni eventuale verifica e controllo. Inoltre, per i cittadini stranieri di altre nazionalità non appartenenti all’Unione europea, è stato prorogato al 31 dicembre 2025 il termine per poter esercitare temporaneamente la professione sanitaria in Italia in deroga alle norme sul riconoscimento dei titoli. Insomma, problemi burocratici non dovrebbero esserci, si tratta solo di trovare medici provenienti dall’Ucraina, sperando che almeno questi vogliano prendere servizio presso l’ospedale di area particolarmente disagiata di Agnone.