Quando negli anni 50 e 60 eravamo costretti a recarci a Napoli per rendere giustizia ai cittadini molisani, eravamo sorpresi da un misto di allegria e allo stesso tempo di fastidio per la lunga e faticosa trasferta attraverso le vie disagevoli del tempo .
Tutti gli avvocati molisani – da quelli del capoluogo, ne ricordo alcuni: Francesco Colitto, Correra, Alessandro De Gaglia, Mario Stanchi, De Oto, Carnevale, Testa; del circondario di Larino: Colesanti, Antonino Carugno, Michele Quaranta, Michele Troiano, Guido Campopiano, i fratelli Tommaso e Giuseppe Bucci, Mario D’Alessandro e altri; e quelli isernini, i quali ultimi erano, però, in posizione più agevolata per la vicinanza di Isernia e Venafro al capoluogo campano: Antonio Caranci, Mario Di Nezza, Antonino Serafino, Scipione Marracino, per citare soltanto le meno giovani generazioni forensi – erano costretti a lunghe trasferte dai loro luoghi fino alla capitale meridionale.
E non era un cosa facile.
Qualche volta si era costretti a giungere a Napoli il giorno prima per trovarsi in tempo alle udienze, che cominciavamo alle 10 del mattino.
Castel Capuano era la sede, allora, non solo dei Tribunale, ma anche della Corte di Appello che comprendeva l’intera regione molisana, peraltro, non ancor distaccato dall’Abruzzo (avrebbe conseguito l’autonomia solo nel dicembre del 1963).
Era il Castello più antico di Napoli, dopo il Castel dell’Ovo, ma il più possente e il più fortificato perche era stato per secoli la residenza dei reali di Napoli.
Esso era sorto su una vecchia area romana destinata al Gimnasium, poi, trasformata in cimitero e molto spesso, quando nel 1903, Castel Capuano venne destinato a Palazzo di Giustizia, qualcuno celiando diceva che il Palazzo era il cimitero della giustizia.
Quando ci si aggirava all’interno, attraversando la enorme aula fitta di statue a mezzo busto di tutti i personaggi importanti che si erano succeduti nel tempo (giureconsulti, letterati, filosofi, politici, gente potente di vario genere della Napoli capitale), dalle volte altissime (forse 10 metri), si aveva un senso di vago stupore, di alienazione istintiva, di estraneità soprattutto per noi che venivamo dalla non vicina provincia.
Il cortile antistante il palazzo, che dava, poi, inizio al decumano inferiore – ovvero quella strada antichissima di origine romana, oggi chiamata Spaccanapoli o Via dei Tribunali, quella che raggiungeva Via Roma, oggi Via Toledo, e in cui era vissuto e morto Benedetto Croce e nell’interno della quale erano situate le famosissime Piazza San Gaetano e San Gregorio Armeno (il luogo della esposizione dei presepi napoletani) – brulicava sempre di gente (postulanti, questuanti, venditori delle cose più impensabili) e di persone interessate ai vari processi civili e penali, e non era raro che qualcuno ti si avvicinasse, capendo fulmineamente che si trattava di un avvocato – le borse a mano tradivano la qualità professionale del soggetto – e ti dicesse sottovoce : “signorì avete bisogno di qualche testimonianza?”, che qualche volta, i più privi di scrupolo, accettavano, con esiti quasi sempre disastrosi; ma, così, era la Napoli di quei tempi ed il palazzo di Giustizia, una antica fortezza reale, così trasformata da Pedro De Toledo nel 1503.
Napoli aveva già allora tutti i mali ancora presenti oggi : disordine, sporcizia (si ricordi “Napule è na carta sporca” di Pino Daniele), raccoglitori di cicche, con uno speciale chiodo alla punta del bastone, per raccoglierle agevolmente dall’alto, e, poi, in mezzo alla strada, sbriciolarle per ricavarne autentici mucchi di tabacco che rivendevano ai passanti, pesandolo con un bilancino rudimentale, chissà quanto fedele (!), con discreto profitto.
E, poi, c’era il meraviglioso orizzonte di Via Caracciolo, con i suoi ristoranti come “ ‘z Teresa”, dove spesso andavamo, dopo le udienze, a ristorarci, tutto sommato felici per la trasferta nella terra del sole.
Ironico, salace, battutista fulmineo, come del resto ci hanno dimostrato i grandi personaggi della commedia napoletana, ma allo stesso tempo ottimista, positivo, temprati dalla bella luce di Napoli e dal monumentale vulcano, spento da 70 anni, il popolo napoletano è uno dei più straordinari, e, in quel palazzo di Castel Capuano formicolava tutto il genio partenopeo.
In una di quelle tante trasferte a Napoli mi trovai sul famoso rettifilo, che conduce da Piazza della Borsa alla stazione Garibaldi, a bordo di una lussuosa macchina di un facoltoso cliente, che guidava trionfalmente la sua autovettura, allorquando ci fermammo, per rispetto della legalità, che veniva, invece, inosservata dalla maggior parte dei veicoli transitanti, ad un semaforo rosso; vicino a noi si fermò una sgangherata automobile con due ragazze a bordo, evidente due ragazze di vita, che volevano, nel breve tempo del rosso, agganciare l’autista della lussuosa macchina, avendo capito che poteva trattarsi di un “cafone arricchito”, venuto da lontano, e, quindi, abbordabile.
Una di esse gli chiese : “ma vu site quill che venne (vende) i giocattoli ?” e lui di rimando “i venn (vendo) pupazzi” e prontamente la ragazza, indicando me e un amico seduto nel sedile posteriore “e chiss sonn i prime pupazzi ca vennite?”.
Questa Napoli così bella e burlesca, ormi quasi non c’è più, si è sostituita la Napoli di Scampia, del quartiere Sanità, dei quartieri Spagnoli, dove i palazzi sembra si chiudano su se stessi e ti crollino addosso, strette come sono le vie che li separano; una Napoli immersa nel caos del traffico, di difficile raggiungimento da parte di chi vi approda.
Dopo tanti anni di difficoltoso cammino da parte degli avvocati molisani, finalmente nel 1970, con l’avvento del regionalismo, veniva istituita la Corte di Appello di Campobasso, prima come sezione della Corte di Appello di Napoli e, poi, come Corte di Appello autonoma.
A tutti essendo consentito di partecipare alle udienze la mattina e fare ritorno a casa nella stessa giornata.
La istituzione della Corte nel Molise, prima come sezione distaccata di Napoli, e, poi, come Corte autonoma, venne salutata da tutto il popolo molisano come una autentica conquista, un traguardo liberatorio, rispetto alla penosa condizione di doversi recare a Napoli per una udienza.
Ora, dopo 45 anni di normale esercizio delle attività giudiziarie, ecco la notizia, improvvisa, sconcertante, inaudita, non meditata, della possibile chiusura della Corte di Appello di Campobasso e dello spostamento della Corte e, quindi, di migliaia di cittadini, in altre Corti di Appello indicate come probabili o possibili: l’Aquila, Pescara, Ancona, Bari.
La notizia è sconcertante perche è come togliere il bisturi dalle mani del chirurgo nel momento stesso in cui sta operando, con il pericolo che il malato muoia sotto i ferri.
La scusa è sempre la stessa: essa si era già affacciata alla fine degli anni 80 con il Ministro della Giustizia dell’epoca, Giuliano Vassalli (valoroso avvocato, oltre che forte giurista), ma che si era, poi, ben guardato dal giungere alla decisione soppressiva .
Con la stessa ipotesi della soppressione della Corte, che peraltro, non appariva nemmeno troppo chiara, il Ministro, invece, era fermo nel proporre, con un apposito disegno di legge, peraltro, già approvato da un ramo del Parlamento, la soppressione dei Tribunali c.d. minori, ma, poi, saggiamente la proposta non venne portata a conclusione.
Vi fu, in quella occasione, una vera e propria rivolta dei Tribunali minori, da Alba, a Lanusei, a Lagonegro, Sant’Angelo dei Lombardi, Vasto, Lanciano, Sulmona, Avezzano, Camerino e tanti altri, e Larino, il cui Consiglio dell’Ordine fu particolarmente attivo nel convocare assemblee e riunioni a livello nazionale, con speciali pubblicazioni, come quella che portava il suggestivo titolo di “Tribunali Assediati”:
Dopo quelle battaglie, la proposta sembrò ritirata.
Tutti i governanti, da 26 anni ad oggi, pur prospettando ipotesi del genere, hanno, poi, finito sempre con il recedere da esse e garantire livelli minimali di giustizia, in una regione che, per quanto piccola, ha, però, gli stessi bisogni delle regioni più grandi.
La fretta, però, la sommarietà, l’arroganza del giovane toscano, improvvisamente insediatosi a Palazzo Chigi -oltretutto senza essere stato eletto da una consultazione elettorale – e dei suoi seguaci, stanno facendo strame dei diritti civili assolutamente in contrasto con i principi costituzionali che esigono che tutti i cittadini siano eguali di fronte alla legge e che (art.3, II comma della Costituzione italiana) “è compito della Repubblica, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. .
Non si può dunque fare il conto delle teste insediate in un territorio per stabilire la quantità di giustizia eroganda, tutti i cittadini hanno bisogno di giustizia, quanto di liberta, di assistenza sanitaria, di scuola, di lavoro ecc.
E allora è il momento della reazione, della protesta da parte della Regione, dei Comuni, delle Associazioni a tutti i livelli, dei cittadini molisani tutti, in maniera da fare sentire viva e forte la voce della nostra Regione.
Se si vogliono conseguire dei risparmi, lo Stato sa come e dove colpire i molti privilegi esistenti, eliminare la evasione fiscale, ridurre i costi della politica, combattere e distruggere la corruzione, che da sola costa qualcosa come 60 miliardi di euro l’anno, con un quarto del cui importo sarebbe possibile sostenere tutte le Corti di Appello ed i Tribunali d’Italia.
E’, dunque, una ingiustizia contro tutti noi molisani che abbiamo il diritto e soprattutto il dovere, di combattere, a tutti i livelli, naturalmente ed innanzi tutto da parte della Regione, dei Comuni, delle varie associazioni, in modo da evitare gli effetti di una iniziativa, che, senza offendere nessuno, si potrebbe definire demenziale.
di Franco Cianci