La donna ha sempre rappresentato nel mondo, in quasi tutte le latitudini, da quelle in cui essa ha esercitato un ruolo eminente, a quelle in cui non ne ha esercitato nessuno, un essere debole, a causa prevalentemente della minore forza psicofisica rispetto all’uomo.
Priva, anche nei secoli più recenti, di diritti, anche di quelli elettorali (si pensi che solo nel 1945 in Italia, le donne acquistarono il diritto di votare), e di alcune libertà fondamentali, è stata considerata in un ruolo assolutamente inferiore, pur possedendo il più alto ruolo, che Dio o la natura, a seconda di chi vi creda o non, le ha donato: la procreazione.
E benchè l’uomo abbia fatto, talvolta, pazzie per essa, la donna non è riuscita mai, in realtà, a raggiungere un livello di vera parità con il potere, o, meglio dire, il prepotere dell’uomo.
Eppure, dal peccato originale, nel quale sembrava che Eva, con la sua forza seduttiva, potesse, prevalere sull’uomo, in realtà nel corso dei millenni, l’uomo l’ha fatta sempre da padrone.
Solo negli ultimi secoli la donna ha raggiunto, attraverso lotte continue, disperati tentativi, anche sanguinosi, di mettersi alla pari con l’uomo, come nella drammatica visione di Pelizza da Volpedo (una donna con in braccio un bambino, che trascina una folla di operai: una moderna Camusso), essa rimase pur sempre schiacciata dal prepotere dell’uomo.
Ma tutto questo è zero, di fronte a quanto è accaduto, e accade, in Iran.
REYHANEH era una dolce ragazza di appena 19 anni, che si muoveva in una società in cui le donne davvero non avevano, e non hanno, una voce in capitolo e in cui ragazzine, di 12 -13 anni, per volontà dei genitori o di altri e senza che esse veramente possano sceglierli, sono offerte in sposa, o anche solo come compagne, ad uomini, generalmente molto più grandi di loro, che immediatamente le rendono schiave.
Debbono essere, secondo quelle regole, coperte integralmente, soltanto gli occhi, quegli occhi bellissimi, nerissimi o anche glauchi, come quelli di una ragazza Pakistana, che fecero qualche anno fa il giro del mondo, sono le solo loro finestre appena dischiuse sul mondo.
Il loro corpo è coperto da tele integrali, che non possono mettere in evidenza le sembianze.
Ricordo la storia di Mariam, castigata e frustata, sotto gli occhi assatanati di alcuni astanti, da un terribile uomo che, quasi piegato in due, con un naso adunco e smagrito, proiettato quasi come una spada contro la vittima, con un ghigno feroce sulle labbra, frustava Mariam.
Si piegava Mariam, la sua tunica ampia si piegava sotto la violenza della frusta gemmata di teste di chiodi.
Non un grido di pietà o di compassione.
In una stupenda lettera (Avvenire del 30.10.2014) REYHANEH scrive, anzi declama alla madre Shole un suo straziante messaggio.
Potrebbe essere una nostra madre, una nostra sorella, una nostra figlia.
“…A causa di quel colpo maledetto la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato via, ma nella fossa della prigione di Evin e nelle sue celle di isolamento ed ora in questo carcere tomba di Shahr-e Ray…”
REYHANEH viene inesorabilmente condannata – da un Giudice, accecato dal furore di obbedienza alla sharia – a morte per impiccagione, avvenuta teatralmente innanzi agli occhi feroci della moglie e del figlio dell’uomo ucciso.
Aveva ucciso, REYHANEH, per difendersi da uno stupro tentato o consumato.
“… Quanto ero ottimista ad aspettarmi giustizia dai Giudici! Il Giudice non ha mai nemmeno menzionato che le mie mani non sono dure come quelle di un atleta o di un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnato ad amare non mi ha mai voluta, e nessuno mi ha appoggiata, anche sotto i colpi dell’uomo che mi interrogava, e piangevo e sentivo le parole più volgari. Quando ho rimosso da me l’ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata premiata con 11 giorni di isolamento..”
REYHANEH con la sua bellissima e straziante lettera, costituisce l’atto di accusa più eclatante non solo contro il regime iraniano ma contro tutto il mondo oppressore dei diritti della donna.
Eppure Rhoani, il nuovo Presidente recentemente eletto, sembrava volere dare una svolta alla storia dell’Iran : una sorta di liberalismo nuovo contro l’oppressivo rigore del suo immediato predecessoreAhmadinejād .
Sembrava che Rhoani intendesse introdurre delle aperture alle libertà femminili ed umane, ma purtroppo la brutalità e la ferocia della prassi, dimostrano il contrario.
L’attuale Iran, nome acquisito soltanto nel 1959, per volere della dinastia di re Reza Pahlavi, fu una delle più antiche civiltà sorte nel mondo e, fin dall’epoca di Ciro il Grande, essa fu culla dei diritti umani, le cui originarie elaborazioni avrebbero influenzato la civiltà greca e quindi quella romana.
Dopo la rivoluzione di Khomeini – che dalla lontana Parigi, riuscì a coinvolgere il popolo iraniano, contro lo Scià (1979), che, a tale cagione, precipitò vertiginosamente e fu costretto rapidamente a mettersi in fuga, insieme alla sua bellissima moglie Soraya e al figlio poco più che dodicenne – si è avuta una trasfigurazione del civilissimo popolo iraniano .
La islamizzazione che ne è seguita è stata feroce, terribile : campi di concentramento, condanne a morte (dopo la Cina è il secondo paese al mondo per uccisioni).
L’estremismo di alcuni Presidenti dell’Iran, tra i quali il penultimo già citato Ahmadinejād, ha ridotto questo civilissimo Stato ad una ecatombe dei diritti umani, soprattutto in danno delle donne, rifiutando tutto ciò che fosse provenuto tout-court dall’occidente e soprattutto da quella che essi definivano come la diabolica società americana .
E, così, è potuto accadere che una ragazza poco più che ventenne, piena di vita, di allegria, di sogni, sia stata condannata ad un anno di dura reclusione come quella che si perpetra nelle durissime carceri iraniane, descritte cosi efficacemente da REYHANEH, per il solo fatto di avere assistito ad una partita di pallavolo maschile vietata, dalla sharia durissima, alle donne iraniane.
Il solo contatto visivo tra mondo femminile e maschile, al di fuori dello strettissimo e sorvegliatissimo rapporto maritale, scatena in quella società un corto circuito di recriminazioni, di paure, di condanne.
La voce di Amnesty International contro tutto ciò, rimane, purtroppo, debole ed isolata.
di Franco Cianci