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  • Storie di migranti, dalle bombe in Mali alla tranquillità di Agnone: Mamadou racconta la sua odissea per arrivare in Italia

    AGNONE – Dall’inferno delle bombe in Africa, all’odissea del viaggio per arrivare in Italia. La storia di Mamadou Boune, 22 anni, rifugiato politico maliano, ospite di una struttura privata di Agnone, è quella di molti migranti che sognano un futuro migliore. L’Eco online lo ha intervistato.

    Qual è il ricordo più bello del Mali?

    “Un cavallo bianco, ma non so che fine ha fatto. Era un regalo di mio padre; lui aveva un negozio, mia madre faceva la commessa in un altro posto.”

    Come era la situazione in Mali prima della guerra?
    “Non stavamo male, ma non eravamo sicuri. Un giorno tornai a casa da scuola e mio fratello mi disse che mamma era stata uccisa da alcuni ladri.”

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    Quando hai deciso di scappare?
    “Nel maggio 2013 studiavo nella scuola franco-araba di Bourem. Una mattina andai a scuola e la trovai distrutta dalle bombe. Erano morte tante persone. Tornato a casa, i vicini mi dissero che l’amico di mio padre, dal quale alloggiavo, era scappato; loro avrebbero fatto lo stesso. Da quel momento capii che dovevo occuparmi di me stesso. Andai a casa di un mio amico per due giorni, poi partimmo verso l’Algeria con i suoi genitori, più vicina rispetto a Kayes (città del Mali) distante 6537 km. Loro mi aiutarono con i soldi.”

    Quanto hai viaggiato?

    “Percorremmo 534 km a piedi in 2 mesi e mezzo. Per  strada c’erano molte bombe. Una volta arrivati in Algeria ci bloccarono all’ingresso di un campo profughi; non avevano posto per accoglierci, ci dissero che dovevano badare a noi stessi senza aiuto”.

    Di cosa vivevate?

    “In Algeria lavoravo qualche giorno si, altri no. Senza lavoro non potevamo mangiare.  Quando mi riusciva, facevo il lavapiatti per i ristoranti, pulizia dei giardini o delle case. Dormivano per strada o sotto i ponti. Solo una volta un uomo ci ha fatto dormire e mangiare nel suo giardino”.

    Quindi hai deciso di andare in Libia…
    “Sì, il viaggio fu lungo. Chiedevamo passaggi alle macchina o ci muovevamo a piedi. Arrivati lì, capii che era peggio del Mali. Anche lì c’era gente che sparava.  Una volta lavorammo per un signore nel suo giardino. Dopo cinque ore di lavoro ci disse che non ci avrebbe pagato. Io e il mio amico ci mettemmo a fare casino, litigammo con questo tipo e ricevetti una coltellata sulla gamba. Scappai a cercare delle cure ma un libico mi sconsigliò di andare in ospedale; lì non vedevano di buon occhio noi neri. Per fortuna un mio amico mi diede da mangiare e da bere. “

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    Quando hai deciso di venire in Italia?

    “Un giorno un mio amico mi disse ‘Mamadou, se vieni con noi ti portiamo in Italia!’ Risposi che non avevo i soldi, né per pagarmi il viaggio né per mangiare. Lui parlò lo stesso con il padrone della barca convincendolo a farmi salire senza pagare, dicendo che ero ferito alla gamba.”

    Come andò il viaggio?
    “La barca era piccolissima ed eravamo 75 persone; tra questi nessuno degli organizzatori. Per fortuna avevo dei biscotti per il viaggio, dato che il cibo finì subito. Durante il viaggio sono morte di fame tre persone, di cui il mio amico; forse erano già partiti malati. Il viaggio in mare è durato due giorni, senza dormire. Alla fine arrivammo a Taranto, dove ricevemmo vestiti, scarpe e da mangiare. Un dottore mi visitò e mi fece un prelievo di sangue, poi andammo in questura per le impronte digitali. Rimanemmo a Taranto tre mesi, poi a metà luglio mi portarono ad Agnone”.

    Come ti trovi qui?

    “Mi sono trovato benissimo in paese, ho tantissimi amici che mi hanno accolto e mi ascoltano. Quando sto con loro scrivo su un quaderno tutte le parole che mi dicono che non conosco.”

    Come passi la tua giornata?

    “Da poco ho iniziato ad andare a scuola ad Isernia per prendere l’attestato di terza media (gli anni scolastici di Mamadou fatti in male non possono essere riconosciuti). Se non sto a scuola mattina sto in giro, il pomeriggio studio in biblioteca e la sera spesso mi vedo con il mio amico Fabrizio”.

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    Cosa ti piace e cosa non ti piace dell’Italia?

    “La cucina italiana mi piace molto. Non mi piace che la domenica i negozi siano chiusi, ma passo il tempo andando a vedere le partite dell’Agnone comunque. Inoltre, anche se conosco un sacco di gente ad Agnone, non riesco a trovare un lavoretto per passare la giornata”.

    Che lavoro vorresti fare?

    “Vorrei diventare cuoco o mediatore culturale. Prima prendo il diploma di terza media, poi vediamo cosa succede”.

    Rimarresti ad Agnone?

    “Si, ma solo quando avrò un lavoro”.

    Hai contatti con la tua famiglia?

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    “I miei genitori sono tutti e due morti, mio padre nell’Agosto 2015. Da settembre non sento mio fratello e mia sorella non la sento dal 2012. Il suo numero non funziona.”

    Cosa pensi dell’Isis?

    “Quelli dell’Isis non sono veri musulmani. Tu sei cristiano, io sono musulmano, siamo  parte della stessa religione. Perché dovremmo ucciderci a vicenda? Poi, chi finanzia l’Isis? Deve esserci qualcosa sotto”.

    In Italia vivono molti razzisti. Cosa vorresti dirgli?

    “Sono stupidi, fanno cose da persone ignoranti. Per me tutte le persone sono uguali come i denti di un pettine”.

    (nelle foto Mamadou con alcuni amici di Agnone e le foto dei genitori) 

    di Guido Marinelli

     

     

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