TRAPANI – E’ l’agnonese Maria Pia Marinelli (in foto) il vice questore dello Sco (Servizio centrale operativo) che ha guidato le operazioni, durate sette mesi, che hanno portato alla scoperta di una nave Ong, la Juventa, ad avere contatti con gli scafisti nordafricani. Una vicenda scottante raccontata con dovizia di particolari dalle pagine del Corriere della Sera che dedica un ampio servizio all’infiltrato della Polizia riuscito a documentare a bordo della nave quanto accadesse. La brillante operazione ha visto Maria Pia Marinelli quale coordinatrice. Classe ’73, laureata in giurisprudenza, prima di arrivare allo Sco, la Marinelli ha prestato servizio al commissariato di Genova e alla Squadra mobile Milano dove si è distinta per grandi capacità professionali e umane. Di seguito riportiamo l’articolo a firma di Florenza Sarzanini.
Era un addetto alla sicurezza, imbarcato sulla Vos Hestia, la nave di “Save the children” per conto di una società privata. Nessuno immaginava che in realtà fosse un agente sotto copertura, poliziotto dello Sco, il servizio centrale operativo impegnato da quasi un anno nell’indagine sull’attività delle Ong per il salvataggio dei migranti al largo della Libia. È rimasto a bordo per quaranta giorni, «l’esperienza più impegnativa, ma anche più emozionante della mia carriera». E adesso rivendica con soddisfazione di essere riuscito a «documentare con foto e video i contatti tra l’equipaggio della Iuventa e i trafficanti». Ma anche «di aver restituito al suo papà, nigeriano che da tempo vive in Italia, una bimba di 15 mesi imbarcata su un gommone con la mamma che invece non è riuscita a terminare il viaggio».
La scelta di agire in missione segreta viene presa nel maggio scorso. Il pool investigativo guidato dal vicequestore Maria Pia Marinelli, che lavora da oltre sette mesi per verificare la fondatezza delle denunce presentate da alcuni volontari di “Save the children” per conto della procura di Trapani, ha raccolto numerosi indizi sui possibili legami tra volontari e organizzazioni criminali. Nel mirino c’è Jugend Rettet, definita dalle altre organizzazioni «temeraria» proprio perché entra in acque libiche e carica migranti che poi trasferisce su altre navi. Ma servono prove concrete, bisogna documentare gli incontri con gli scafisti, i possibili accordi. Il direttore dello Sco Alessandro Giuliano sa bene che l’unica strada è quella della “copertura”, proprio come accade nelle indagini sui trafficanti di droga o di armi. Consulta il prefetto Vittorio Rizzi, direttore dell’Anticrimine. Ottiene subito il via libera. Tra gli agenti impegnati nelle verifiche, c’è Luca B., 45 anni che ha le caratteristiche giuste. È esperto di sub, tanto da avere il brevetto Divemasteroltre a una serie di abilitazioni per il soccorso medico in mare, la patente nautica. Ma è soprattutto un agente esperto. Quando gli propongono l’incarico non ha dubbi: «Felice di accettare». Il 19 maggio si imbarca. Viene alloggiato in una cabina con altre tre persone, sa che deve «stare continuamente all’erta per non essere scoperto».
I soccorsi
La nave partecipa a numerose incursioni di fronte alle acque libiche. Effettua tre operazioni di soccorso, lui aiuta gli operatori, salva i migranti, collabora quando c’è necessità di trasferire le persone da una imbarcazione all’altra. Tiene i contatti con Roma inviando messaggi via whatsapp. Li aggiorna su quanto accade a bordo, sulla posizione delle navi delle altre Ong. «Devo stare attento, perché si insospettiscono se faccio foto o filmati», comunica ai suoi capi. «Non abbiamo mai perso la sua posizione – conferma Marinelli – perché avevamo comunque il supporto della Guardia Costiera che ci teneva informati degli spostamenti e di eventuali emergenze». Riesce a scendere dalla nave tre volte. Incontra i colleghi in luoghi segreti, consegna aggiornamenti e informazioni utili all’inchiesta. Ma ancora non basta, bisogna continuare per dimostrare che quanto raccontato nelle denunce sia vero. Il 18 giugno arriva la svolta. Sono gli ultimi due soccorsi, quelli decisivi «All’alba la Vos Hestia e la Iuventa si incrociano in alto mare. Pochi minuti dopo si avvicina un barchino dei trafficanti. Rimane a pochi metri da Iuventa, gli uomini parlano con i volontari. Arriva un’altro barchino che scorta un gommone carico di migranti». L’infiltrato scatta foto, gira video, documenta minuto dopo minuto l’incontro che segna la svolta per l’indagine. Tre ore dopo c’è un altro contatto e anche questa volta riesce a filmare ogni passaggio. «Ho tutto, comprese le immagini dei barchini restituiti ai trafficanti e riportati in Libia», comunica ai suoi capi.
La bambina salvata
La missione è compiuta, ma bisogna attendere ancora qualche giorno. Portare a termine l’incarico così come previsto dal contratto proprio per non destare sospetti. A fine giugno l’agente torna a casa. Racconta quanto ha visto, «anche quell’emozione di aver salvato tante vite». Ma il ricordo più bello lo dedica a Rejoyce, la bimba di 15 mesi che il 5 giugno hanno salvato mentre era su un gommone con altri 125 migranti. «La mamma era caduta in acqua, l’abbiamo issata a bordo, le ho fatto il massaggio cardiaco, ma purtroppo non c’è stato nulla da fare». In tasca la donna ha alcuni bigliettini con un numero di telefono italiano. L’infiltrato li comunica ai colleghi della mobile di Trapani quando, tre giorni dopo, arrivano in porto. L’utenza appartiene a un nigeriano che da tempo vive in Italia e lavora come bracciante a Salerno. L’uomo viene subito trasferito in Sicilia. Conferma che quella donna morta è sua moglie. Racconta che la stava aspettando insieme con la figlioletta. Si decide di effettuare l’esame del Dna a entrambi per avere la certezza che non menta. Il risultato è arrivato ieri e non lascia dubbi: è sua figlia. Per l’infiltrato «la missione è davvero compiuta». Ma lui è pronto a ripartire. Ai suoi capi l’ha detto con chiarezza: «Per me è stata un’esperienza bellissima. Impegnativa ma esaltante, perché ti porta a contatto con queste persone che soffrono, ti fa capire che a volte per salvarli hai soltanto pochi secondi».