AGNONE – In una circolare del 4 marzo 2020 inviata dal Ministero della Salute, il direttore generale Andrea Urbani suggerisce e raccomanda di «individuare una o più strutture o stabilimenti ospedalieri da dedicare alla gestione ESCLUSIVA del paziente affetto da Covid – 19».
E se l’emergenza coronavirus fosse un’occasione di rilancio per i piccoli ospedali di frontiera come il “Caracciolo” di Agnone? Due container, collocati di fianco al Pronto soccorso, dove saranno accolti gli utenti inviati dai medici di medicina generale o che si presentino spontaneamente, con i sintomi che facciano pensare a un’infezione. E’ quello che è successo nell’ospedale di Vasto oggi, quando la Asl competente ha avuto notizia della chiusura del vicino pronto soccorso dell’ospedale di Termoli e si è subito resa disponibile adeguando, con strutture provvisorie, il nosocomio vastese. Container provvisori, dunque. Poca spesa e subito pronti, basta un camion per portarli sul posto. E oltre ai container c’è l’opzione tende da campo, quelle dell’Esercito o della Protezione civile, utilizzate in questi giorni in molti ospedali per il pre triage e per evitare di contaminare gli ambienti interni. Perché quello che stanno facendo a Vasto o a Lanciano, o in tanti ospedali d’Italia, con strutture provvisorie e riconversioni d’urgenza, non può avvenire anche per il “San Francesco Caracciolo” di Agnone? Questa è l’idea, che solo apparentemente sembra una follia. In realtà altrove le aziende ospedaliere hanno già fatto la scelta di dedicare alcuni ospedali all’emergenza epidemica in corso, questo per consentire agli altri ospedali delle rete aziendale e del territorio di continuare a svolgere tutte le normali attività assistenziali sia ordinarie che urgenti. Paralizzare i grandi ospedali esponendoli al rischio di contaminazioni da Covid19, come è accaduto a Termoli, è un azzardo troppo grosso. Si potrebbe invece ridurre il disagio e il rischio utilizzando per i contagiati non critici, quelli che non necessitano di terapia intensiva, gli ospedali minori, strutture che ad oggi sono poco più che ambulatori. E l’idea comincia a circolare in Alto Molise. Per qualcuno sarebbe solo la realizzazione di un «lazzaretto», come avveniva in passato, quando rispetto a focolai di malattie molto contagiose come la lebbra o la peste venivano scelti dei luoghi di confinamento e isolamento. Per altri, invece, sarebbe una realistica occasione di rilancio e riconversione di un ospedale ormai dismesso. Ad Agnone non ci sono le strutture, le apparecchiature, le competenze, si potrebbe obiettare, ma come dimostra il caso di Vasto rispetto all’emergenza di Termoli le strutture e le apparecchiature si possono installare al momento e al bisogno. Per le competenze basta spostare il personale da un posto all’altro. Senza parlare delle intuibili ricadute positive che si avrebbero dal punto di vista economico, per via ad esempio dei parenti dei ricoverati che verrebbero ad Agnone. Una follia irrealizzabile o una strada percorribile? Per capirlo si potrebbe incominciare a parlarne da un punto di vista tecnico, medico, ma anche e soprattutto politico. Michele Iorio lo ha fatto, ad esempio, ma ha citato solo gli ospedali di Venafro e Larino, dimenticandosi quello di Agnone. Glielo ricordiamo noi dell’Eco.
Francesco Bottone
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