ATESSA – «Qualcun altro fece la marcia su Roma, poi finì come sappiamo. Ormai siamo al varietà: Borrelli si scaglia contro la proliferazione dei cinghiali proprio nella sede che ne è la causa prima. Il che è come manifestare contro la prostituzione dentro un bordello».
Ironia tagliente quella del fotografo naturalista Dario Rapino, non nuovo a incursioni in temi di gestione faunistico-venatoria del cinghiale nel Chieti e nel Vastese, che replica con quella frase alle dichiarazioni rese nei giorni scorsi dal sindaco di Atesso, Giulio Borrelli. L’ex giornalista Rai, che sa evidentemente come comunicare, ha lanciato l’idea di organizzare una «marcia su Roma», davanti alla sede del Ministero dell’Ambiente retto dall’ex generale della Forestale, Sergio Costa, per chiedere a Roma appunto la modifica della legge 157 sulla caccia, visto che tutte le azioni possibili messe in campo dalla Regione e dalla Polizia provinciale si sono rivelate fino ad oggi insufficienti. Un ampliamento del periodo di caccia, questo, in estrema sintesi, chiede Borrelli spalleggiato da altri sindaci di zona, come quello di Archi, Mario Troilo. Portare dunque il periodo di braccata, cioè la caccia al cinghiale con i segugi, dai tre mesi attuali almeno a quattro o addirittura sei. Una proposta bollata come da «varietà» dal fotografo naturalista Rapino, che già in altre occasione ha spiegato i motivi scientifici in base ai quali la «braccata è la causa del proliferare dei cinghiali, non certo la soluzione». «Argomentazioni, le mie, che si basano su dati etologici e scientifici ormai acquisiti: la braccata è la causa prima della proliferazione dei cinghiali. Se non piace la metafora da me utilizzata nell’occasione, ne fornisco un’altra: affidiamo il controllo degli incendi ai piromani. L’effetto devastante sull’ambiente da parte della caccia non sarebbe possibile senza l’accondiscendenza dei pubblici amministratori. Ognuno si assuma le proprie responsabilità e poi ne riparliamo». Quindi la braccata, cioè la soluzione invocata dal sindaco Borrelli e dagli altri amministratori vicini alle associazioni venatorie e agli stessi cacciatori cinghialai, favorirebbe il proliferare dei cinghiali sul territorio anziché assicurarne una auspicata diminuzione. Scartata la braccata, restano in campo, come uniche modalità di prelievo, il controllo operato dalla Polizia provinciale e dai proprietari o conduttori di fondi agricoli muniti di licenza di caccia e titolo abilitativo e la caccia di selezione. Questi due strumenti, utilizzati da anni e con successo in tutta Europa, possono ricomporre la destrutturazione delle popolazioni di cinghiale e quindi, nel lungo periodo, ridurne il numero complessivo. Ma sono dinamiche che hanno bisogno di tempi medio-lunghi e soprattutto, da parte della Regione, bisognerebbe rimuovere tutte le cavillose regole che rendono oggi non propriamente agevole il prelievo selettivo dei cinghiali.
Francesco Bottone
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