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  • Dispersione idrica: Abruzzo maglia nera e i gestori non sanno fare altro che razionare

    Una notizia diffusa dall’agenzia giornalistica ANSA sancisce impietosamente il sostanziale fallimento dell’attuale gestione dell’acqua nella regione Abruzzo. «La dispersione dell’acqua dalla rete idrica in Abruzzo – riferisce l’ANSA – è passata negli ultimi trenta anni dal 33,8%, certificato dall’Istat nel 1990, al 55,6% del 2018, come risulta da una indagine recente di Confartigianato, con il triste primato di maglia nera d’Italia». Già nel 1990 con il 33,8% l’Abruzzo si collocava tra le regioni italiane a più alta dispersione idrica, a fronte di una media nazionale allora al 27,1%. Negli anni la situazione è gradualmente e costantemente peggiorata, a dispetto degli impegni proclamati e solo in minima parte attuati dalle forze politiche che si sono alternate alla guida della Regione. Da sottolineare che il dato del 2018 lievita addirittura al 58% se si aggiungono alle dispersioni della rete le perdite cosiddette ‘amministrative’, l’acqua cioè che viene consumata e non pagata. In ogni caso il 55,6% calcolato dallo studio di Confartigianato assegna all’Abruzzo il primato visto che la media nazionale di dispersione idrica è del 42% (percentuale comunque elevatissima), «con tre province su quattro – sottolinea ancora l’ANSA – tra le peggiori in Italia: Chieti, L’Aquila e Pescara, rispettivamente al terzo, quarto e decimo posto della classifica nazionale». 

    Sono dati del 2018, ma le continue chiusure notturne che parte del territorio è tuttora costretta a subire dicono che i dati del 2021 non segnano certamente un miglioramento, anzi, sono probabilmente peggiorati. 

    «La verità è che la gestione del servizio idrico nella nostra regione – sottolinea il delegato Abruzzo del WWF Filomena Ricci – è affidata a enti pubblici di diritto privato che hanno negli anni dimostrato la loro sostanziale inefficacia. Non è bastato il referendum del 2011 per far cambiare le cose, benché la posizione dei cittadini sia emersa in quella circostanza in modo chiaro: bisogna tornare a una gestione veramente pubblica del settore che punti sulla correttezza e sull’efficienza. Non serve pagare quattro consigli di amministrazione né avere carrozzoni con organici pieni di personale amministrativo per poi essere costretti ad appaltare a ditte esterne i lavori di manutenzione. Occorre un investimento importante per risistemare le reti e una vera riforma nel settore per una gestione fatta nell’interesse esclusivo della cittadinanza. I fondi in arrivo per la resilienza e la ripartenza vanno indirizzati verso queste scelte e giammai utilizzati per le ennesime cementificazioni. Una scelta che i cambiamenti climatici in atto rendono peraltro indispensabile e urgente». 

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