• Editoriale
  • Donna Filomena di Battista, la “commare” di tutti gli agnonesi

    Quando il 26 dicembre 1948 morì Donna Filomena conosciuta per la sua mole come “u cammarone”, il sagrato di Sant’Emidio – una delle più belle chiese del Molise, con dipinti e statue del Duprè, con una biblioteca quasi leggendaria, curata da don Nicolino Marinelli, il quale impartiva sul sagrato la benedizione di quella straordinaria donna, che era la mia bisnonna – la piazza era gremita da donne, bambini ed uomini.

    Quella partecipazione era davvero straordinaria: erano venuti non solo tutti i rioni della città, ma anche da tutte le borgate di Agnone.

    Io la guardavo tutta quella gente e la commozione di quella gente era profonda e sincera.

    Un giovanissimo medico Sergio La Banca – laureatosi prodigiosamente a ventidue anni, che aveva già la passione per lo scrivere, che conservò fino alla morte prematuramente avvenuta nel 1998 – ricordò di Donna Filomena tutta la sua bravura ostetrica e ginecologica e ne rievocò il carattere bonario che aveva con tutti.

    Remo Sammartino, che era stato, nella primavera di quell’anno, eletto deputato, tenne un discorso su quel sagrato che commosse tutti, con quello straordinario calore della parola e con la passione del gesto.

    Dopo qualche giorno, la mia zia, Tonina Napolitano, nipote di Donna Filomena, essendo la figlia della sua figlia dilettissima Maria, che aveva accompagnato ed aiutato la nonna nella sua attività indefessa di ostetrica, giunta ad Agnone ai primi del ‘900, mi fece vedere il registro di tutte le nascite che la mia bisnonna aveva raccolto in oltre cinquant’anni di attività ad Agnone, rimasi impressionato che il numero di quelle nascite era stato di quasi 12.500 bambini.

    Erano stati raccolti con perfetta arte ostetrica, senza mai un parto cesareo, per la quale la partoriente avrebbe dovuto essere trasportata ad Isernia, mai un incidente nell’intervento ostetrico.

    Lei sapeva adoperare alla perfezione il forcipe, una tecnica che aveva imparato nella scuola napoletana di ostetricia, che era diretta da un suo cugino di primo grado, Don Raffaele Caporale, che sarebbe stato eletto nella prima legislatura Repubblicana come senatore nella circoscrizione di Lanciano- Vasto.

    Entrambi provenivano, infatti, da Castelfrentano, una ridente cittadina nei pressi di Lanciano.

    Quel forcipe lo manovrava lei, nonostante non avesse titolo per farlo perché i medici, che lei scrupolosamente chiamava perché lo usassero in sua vece, le dicevano : “Donna Filomena fai tu perchè noi non ci raccapezziamo”.

    Ed ora in quel freddissimo 26 dicembre,  che tutta quella gente era stipata in quel sagrato vicino a s. Emidio, quelli erano in qualche modo tutti figli di Donna Filomena e perciò il pianto era forte e sincero.

    Benchè io fossi un ragazzo, ricordo l’amore con cui “commare” Filomena, che pesava 120 chili, veniva accompagnata dai suoi “figli” lungo la salita che porta  da S. Emidio all’Annunziata, ma con un amore che aveva davvero dello straordinario.

    Vidi spesso proprio Remo Sammartino che la prendeva sottobraccio e in qualche modo la accompagnava sostenendola su quella salita che passava davanti alla storica fonderia dei Marinelli i figli del cui fondatore, erano stati tutti raccolti da Donna Filomena, come lo erano stati i figli tanto delle famiglie nobili che delle famigli più umili tanto nella città che nella campagna.

    Donna Filomena era una infaticabile lavoratrice : era contenta del suo lavoro che svolgeva con gioia addirittura e quando, soggiornando ad Agnone, sentivo squillare a notte fonda il campanello  della casa dove la mia bis nonna visse con la figlia Maria e la nipote Tonina, posta su c. Vittorio Emanuele, proprio di fonte all’albergo Amicone e alla casa dell’ex sindaco di Agnone, Franco Marcovecchio,  capivo immediatamente che quello squillo corrispondeva ad un chiamata per la nonna

    Spesso ella doveva raggiungere le campagne di Agnone, le masserie “Secolari” e persino le campagne di Villacanale e del Verrino e doveva percorrere strade mulattiere a dorso di un mulo, la cui fatica maggiore era quella di issarla sul dorso ad opera dei volenterosi e forti contadini del luogo.

    Ella gioiva per le imprese notturne spesso in mezzo alla neve, e talora esposta alla filippina o allo spolverizzo che sono quei venti che spazzano via neve triturata e polvere di ghiaccio molto frequenti nelle località alto montane e quindi di Agnone, posta su una cresta di tufo ed esposta a tutti i venti del quadrante.

    Era una gioia quando, nato il bambino o  la bambina, esponeva l’infante agli occhi dei genitori.

    Quasi piangeva, e questo era un modo per rendere quella straordinaria donna così vicina alla gente, che la gente la sceglieva immediatamente come commare del neonato e di qui quell’aggettivo che ella accettava con molta cordialità e persino con allegria di cammarone, ovvero di una grande commare.

    Nelle feste di battesimo alle quali spesso io partecipavo da bambino e, poi, più tardi da ragazzo, fatte di panini, di dolci, ma soprattutto degli straordinari prodotti di Agnone: caciocavalli, soppressate, prosciutti, a lei veniva riservato il posto d’onore e lei che non mangiava in modo fastoso, si assideva, raccontando circostanze, vicende, sul come fossero andati la gravidanza e  il parto, nella felicità di quella gente così onesta ed umile, quale che ne fosse il rango che l’attorniava

    Non avrei mai avuto nella mia vita la prova di una partecipazione così affettuosa della gente nei confronti di una donna .

    Come il buon medico del famoso romanzo americano “Oltre la siepe”, in prevalenza ella veniva pagata con doni in natura e la domenica era un via vai della gente che chiedeva visite e consigli e le dispense della sua casa erano naturalmente piene di ogni grazia di Dio.

    Una fiumana di gente la accompagnò fino al camposanto, sulla facciata principale del cui muro, all’ingresso, troneggiava una frase se non erro di Orazio, : “tu sei quello che io sono stato, tu sarai quello che io sono”.

    Ed io allora 18enne, le scrissi una piccola poesia struggente che era l’espressione del mio amore verso quella donna, che mia zia fece imprimere sulla lapide conservata ad Agnone, sulla sua tomba per oltre 40 anni  e che suonava così:

    “Vedo boccucce di bimbi gioiosi, sono i tuoi figli nonna che cantano, in concento l’inno di averli aiutati a nascere a vita”.

     

                                                                                         Franco Cianci

     

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