Nel 2016 l’andamento dei prezzi “appare ancora molto debole” e quello del mercato del lavoro “è incerto”. Lo afferma l’Istat nell’ultimo rapporto annuale 2016, ritenendo “plausibile”, per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici. La ripresa dei consumi risulta infatti insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati.
Il sistema di protezione sociale italiano è tra quelli europei “uno dei meno efficaci”. Lo rileva l’Istat evidenziando come “la spesa pensionistica comprime il resto dei trasferimenti sociali”, aumentando il rischio povertà. Nel 2014 il tasso delle persone a rischio si riduceva dopo il trasferimenti di 5,3 punti (dal 24,7% al 19,4%) a fronte di una riduzione media nell’Ue di 8,9 punti. Solo in Grecia il sistema di aiuti è meno efficiente che in Italia.
Nel 2015 il contratto a tempo indeterminato è stato il più diffuso: vi hanno fatto ricorso quasi due terzi delle aziende manifatturiere e del terziario. Nonostante l’aumento dei contratti fissi, l’incidenza del lavoro standard sul totale degli occupati è scesa al 73,4% nel 2015 dal 77% del 2008 con 1,3 milioni di occupati in meno. A trainare le assunzioni, in particolare nelle imprese manifatturiere, sono stati in primis gli sgravi contributivi.
In Italia 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro. E’ il dato relativo al 2015 che emerge dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat. Le famiglie “jobless” sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.
Dal 2003 al 2014 i nuovi pensionati con oltre 40 anni di contributi sono quadruplicati, passando dal 7,6% al 28,8%, oltre uno su quattro. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale 2016 dell’Istat. L’incidenza di quelli che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5% e quella di chi ha versato contributi per un periodo di 36-40 anni passa dal 37,6% al 33,7%. I nuovi pensionati del 2014 ricevono prestazioni più elevate di quelli del 2003 non solo per le carriere più lunghe e regolari, ma anche perché “il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo è ancora al di là dal dispiegare effetti diffusi”. Nello stesso periodo 2003-2014, l’età di pensionamento si è progressivamente innalzata, salendo in media da 62,8 anni a 63,5. L’età mediana è passata da 60 a 62 anni.
Anziani più sprint, baby boomer invecchiano meglio – Le nuove generazioni di anziani sono diverse da quelle del secolo scorso ma anche dalle generazioni di cinquant’anni fa. L’aumento dei livelli di istruzione e di benessere economico, stili di vita via via più salutari, prevenzione e progressi in campo medico hanno migliorato le condizioni di vita della popolazione anziana, con guadagni consistenti non solo nella vita media, ma anche nella qualità della sopravvivenza. Lo rileva il Rapporto annuale 2016 dell’Istat. La generazione dei baby boomer, cioè coloro che sono nati dal 1946 al 1965, arrivano alla soglia dell’età anziana in condizioni di salute decisamente migliori rispetto alle precedenti, con quote più basse sia di persone affette da limitazioni funzionali sia di chi dichiara di stare male. Lo star bene di salute, e ancor più gli elevati tassi d’istruzione delle generazioni che man mano passano nella fase anziana della vita, favoriscono l’invecchiamento attivo, cioè non solo la capacità di essere fisicamente attivi o di partecipare alla forza lavoro, ma anche di partecipare alla vita sociale, economica, culturale e civile. Tra le numerose attività degli anziani in Italia, non bisogna dimenticare quella di nonno. In media, rileva l’Istat, si diventa nonni a 54,8 anni. Anche se non si vive più sotto lo stesso tetto, i rapporti tra nonni e nipoti rimangono ben saldi nel tempo. Cresce anzi il ruolo attivo dei nonni: l’affidamento dei nipoti fino a 13 anni li coinvolge nell’86,9% dei casi.
Popolazione diminuisce e invecchia sempre più – La popolazione italiana diminuisce e invecchia. Al 1 gennaio 2016 la stima è di 60,7 milioni di residenti(-139 mila sull’anno precedente) mentre gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Il nostro Paese è tra i più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania. Lo rileva l’Istat nel Rapporto annuale 2016. Nel desolante quadro demografico si inserisce il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia per le nascite: nel 2015 sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna. Siamo molto lontani dal periodo del baby boom (dal 1946 al 1965), quando il numero medio di figli per donna arrivò all’apice di 2,7. L’andamento demografico dell’Italia negli ultimi 90 anni ha avuto un andamento altalenante: accelerato, ad esempio, tra il 1926 e il 1952 quando i residenti passano da 39 a 47,5 milioni, grazie alla forte riduzione della mortalità e alla natalità ancora molto elevata A partire dalla metà degli anni Settanta la capacità di crescita demografica si attenua molto, tanto che al censimento del 2001 l’ammontare dei residenti in Italia è poco al di sotto dei 57 milioni rispetto ai 56,5 milioni del 1981. Dagli anni 2000 la popolazione cresce in modo più sostenuto ma solo grazie ai flussi migratori dall’estero che si fanno sempre più consistenti. Al primo gennaio 2016 i cittadini italiani residenti sono 55,6 milioni, i cittadini stranieri 5,54 milioni (8,3% della popolazione totale).