C’è un fenomeno che gli antropologi e gli storici chiamano “invenzione della tradizione“. Un ossimoro, spiega il professor Rossano Pazzagli nel volume “Appaesati – Storie di ordinaria ruralità“, Radici Edizioni, che rimanda al tema più generale dell’identità di un popolo. La citazione è a quanto concettualizzato da Eric John Ernest Hobsbawm. «Le tradizioni che ci appaiono, o si pretendono antiche, hanno spesso un’origine piuttosto recente e talvolta sono inventate di sana pianta» scrive infatti lo storico e scrittore britannico, considerato uno dei principali intellettuali del XX secolo, che ha dedicato la vita agli studi sull’evoluzione del capitalismo industriale, il socialismo e il nazionalismo.

In questi giorni in Agnone non si parla d’altro che della Ndocciata, decisamente un evento identitario, ma non sarà che si tratta, anche in questo caso, di una tradizione “inventata”? Sicuramente qualche carattere frutto d’invenzione c’è, come sottolinea il giornalista e scrittore agnonese Nicola Mastronardi, che recentemente ha ricevuto una importante nomina dal ministro della cultura Alessandro Giuli.

«Per amore della nostra principale tradizione e per rispetto all’intelligenza dei Sanniti, non scriviamo più che le origini della ndocciata si perdono nella notte dei tempi, “quando gli antichi Sanniti utilizzavano queste torce negli spostamenti strategici“. – implora Mastronardi, che poi argomenta – Questa affermazione è un’invenzione recente, di pochi decenni fa, superficiale e sbagliata. La nostra, come altre, è una torcia rituale, tra l’altro fatta apposta per bruciare presto e bene, dura infatti meno di mezz’ora. I Sanniti usavano certamente fuoco e fumo per le segnalazioni e, come tutti gli antichi, torce per gli spostamenti, ma si tratta di altra cosa. Non del fuoco solstiziale. Ve li immaginate i nostri poveri progenitori portare sulle spalle la Faglia di Oratino o le maestose Farchie abruzzesi che hanno, precisamente, la stessa ragion d’essere delle nostre ‘Ndocce?

Le ‘Ndocce non sono mai servite, anche ai nostri contadini, per gli spostamenti o “illuminare la via per recarsi in paese alla messa di mezzanotte”. – sottolinea il giornalista e cultore della storia dei Sanniti – I giovani contadini di Agnone, come si legge nelle cronache di fine Ottocento, le portavano a spalla spente fino all’ingresso di Agnone per poi accenderle e sfilare attirando l’attenzione dei cittadini. E’ un rito agreste ereditato dal Cristianesimo che ne ha fatto un omaggio a Gesù che viene sulla terra. Certamente la sua origine antica “si perde nella notte dei tempi”, ma è legata al solstizio d’inverno, ai relativi riti di purificazione e di celebrazione del ciclo solare, non a presunti e anche incomprensibili spostamenti militari». I famosi puntini sulle “i”, quelli messi da Mastronardi, precisazioni storiche che ovviamente nulla tolgono all’importanza, anche identitaria, del tradizionale rito dei fuochi di Agnone.
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