AGNONE. C’era una volta l’ospedale di Agnone. C’erano una volta trecento dipendenti che rappresentavano la prima “fabbrica” dell’intero territorio altomolisano. C’erano una volta cinque unità complesse (reparti) e diverse unità semplici. C’erano una volta 120 posti letto che spinsero l’allora classe politica a progettare una nuova struttura poi diventata di fatto l’ennesima cattedrale nel deserto come tante altre sparse nel Mezzogiorno d’Italia. Non è una favola con il classico attacco del c’era una volta, bensì quella che era la realtà del ‘San Francesco Caracciolo’ fino ad un decennio (2010) fa un vero e proprio ospedale interregionale dove si nasceva, ci si operava e si veniva dimessi guariti. Una struttura che grazie ai sei milioni di stipendi erogati al personale (medici, infermieri, tecnici, amministrativi), senza calcolare l’indotto, manteneva in piedi buona parte del comparto economico territoriale. Un presidio che in totale gravava sulla spesa sanitaria regionale pari a 34 milioni di euro equivalente al 4% dei soldi spesi per gli altri ospedali presenti in Molise.
Conti in ordine che ad ogni chiusura di anno finivano in pareggio senza mai sforare su quello che era il bilancio, ovvero tra le entrate e le uscite. Insomma, una macchina oleata e funzionante capace di fornire servizi efficienti non solo all’utenza del posto, ma soprattutto e in prevalenza a quella extraregionale che di fatto partoriva mobilità attiva. Tradotto significava soldi provenienti dalle regioni limitrofe quali Abruzzo, Lazio e Campania. Nessun segreto visto che circa il 60% del “fatturato” dell’ospedale agnonese arrivava da fuori i confini molisani. Dopodiché i problemi, quelli veri, quelli seri, nati con la soppressione della Asl confluita in quel carrozzone gestito a Campobasso e chiamato Asrem. Un ente istituito con l’obiettivo di ridisegnare la mappa degli ospedali, tagliare gli sprechi e tentare di rilanciare i servizi. Un mero diplomato in ragioneria avrebbe fatto decisamente meglio vista la situazione attuale aggravatasi, come nel caso di Agnone, in chiusura dei reparti, taglio del personale e un parco tecnologico mai rinnovato e risalente agli anni ’70 – ’80. Tutto a scapito del privato che da Termoli a Venafro, passando per il capoluogo, prolifica e fa utili sottratti alla sanità pubblica.
E così quello che funzionava e produceva denari è stato distrutto, azzerato in poco più di un decennio. Mattone dopo mattone, promessa dopo promessa, l’ospedale è stato smantellato con un piano studiato a tavolino e che definire diabolico è poca cosa. Chiamasi consunzione tra l’indifferenza di amministratori incapaci e complici della mattanza. La risultante è sotto gli occhi di tutti con il fenomeno dello spopolamento ai massimi livelli storici, il repentino crollo del mercato immobiliare e di conseguenza la stagnazione di un’economia che ormai da anni non riesce a risollevarsi. D’altronde la fotografia scattata su quello che resta del “Caracciolo” è emblematica. Dai circa 300 addetti del personale si è passati agli attuali 140, dai cinque reparti esistenti (Chirurgia, Ostetricia e Ginecologia, Pediatria, Medicina, Otorino) ne resta in piedi uno solo (Medicina), dai 120 posti letti si è giunti a contarne a mala pena 20. Se a tutto ciò si somma al fatto che molti medici sono sulla soglia della pensione e che a detta della Asrem non saranno rimpiazzati visto che ad Agnone nessuno vuole andare, come se in quel posto ci fosse il rischio di contrarre malattie inguaribili, le sorti del glorioso “ Caracciolo” sono segnate.