Le vacanze di Pasqua sono state l’ennesima occasione di riflessione per noi, emigrati di nuova generazione, sempre in bilico tra il partire e il restare.
Viviamo il conflitto esistenziale dei nostri nonni che sono partiti prima di noi per poi tornare sulle “terre del sacramento”, sulle terre lavorate dagli avi per costruire un nuovo futuro per i loro figli. Ma questo futuro non è ancora arrivato.
Noi, ragazzi tra 25 e 35 anni, dopo aver studiato, dopo aver versato lacrime di gioia con i nostri genitori e nonni per le agognate lauree, segno di riscatto di intere famiglie, versiamo nuove lacrime, quando, dopo innumerevoli colloqui e curricula, siamo costretti a ripetere la scelta dei nostri nonni: partire.
L’occasione di lavoro è a Milano, a Padova, a Brescia o in qualunque altra città del nord. Contratti a termine con possibilità di rinnovo, la supplenza annuale, contratti trimestrali, affitti esorbitanti, accettiamo tutto pur di dare un senso agli anni di studio e sacrificio. Accettiamo tutto in cambio di una parvenza di indipendenza, di una sospirata affermazione personale.
Seduti nei nostri monolocali, negli appartamenti condivisi, ci sentiamo sospesi tra il mondo in cui stiamo ritagliando il nostro spazio e i nostri paesi d’origine. Combattuti tra amore e odio.
E poi a Natale, a Pasqua, nei ponti ritorniamo a mangiare “il pane casa”. Ritrovi il paese con la sua piazza e i suoi bar, immobili, come se nulla fosse cambiato. La tua partenza, così come quella di altri venti, trenta ragazzi non fa sorgere alcuna domanda in chi, questi luoghi li amministra da anni.
Non nascono più bambini nei nostri paesi, ma non importa perché sono arrivati i fondi Pnrr per costruire una nuova scuola che rimarrà irrimediabilmente vuota tra qualche anno.
I ragazzi comprano casa nelle grandi città per non tornare mai più, ma non importa perché in estate ci sarà il convegno sulle opportunità di sviluppo del territorio, la passerella delle buone intenzioni che restano da sempre e per sempre buone intenzioni.
Un altro artigiano chiude, ma non importa perché a Natale faremo il presepe vivente ricordando i mestieri antichi. E i pochi rimasti resistono, resistono in mezzo al nulla che erode tutto, anche le loro speranze, perché i loro figli partiranno.
Giovanna Paradiso