«Rimettere al centro dell’attenzione le aree interne, che non sono una espressione geografica, ma una condizione esistenziale dei territori. Sono tutte quelle aree trascurate, dimenticate, marginalizzate, sedotte e abbandonate dal processo di sviluppo contemporaneo. Aree interne non si nasce, si diventa. Questo ci dà il senso di un processo storico che stiamo vivendo. C’è stato un tempo in cui queste aree erano punti nevralgici della civiltà umana e poi un lungo periodo di declino, che dura tutt’oggi, con lo scivolamento a valle del paese. E oggi però siamo anche nella condizione e nella necessità di dover riconsiderare il ruolo di queste aree interne. Fino ad oggi queste aree interne sono state classificate per quello che manca; dobbiamo ribaltare la logica e definirle invece per quello che c’è, cioè il patrimonio territoriale frutto dell’incontro tra uomo e natura».
Lo ha dichiarato Rossano Pazzagli, professore associato dell’Unimol, in video collegamento, nei giorni scorsi, con Domenicangelo Litterio, nell’ambito di una iniziativa culturale posta in essere dal Movimento per la difesa delle zone interne. Il docente dell’Unimol, nei giorni scorsi, appunto, è stato intervistato dal Movimento per la difesa delle zone interne.
«Rivitalizzare i paesi delle aree interne significa essenzialmente due cose: riorganizzare i servizi e creare lavoro. – ha spiegato il professor Pazzagli – Facile a dirsi, difficile da realizzare. I processi di rinascita hanno ovviamente bisogno di supporto, di competenze e di esperienze. La rinascita delle aree interne deve partire utilizzando le risorse endogene, penso anche alle risorse umane endogene, cioè partire da chi le aree interne le conosce perché le vive tutto l’anno. Il tema aree interne non è solo scientifico, ma oserei dire anche morale. Il declino, l’abbandono, lo scivolamento a valle è stato anche uno spaesamento, una perdita di valori. Ecco perché bisogna ricreare un legame culturale nell’ottica di un ritorno. Bisogna insistere sui servizi, che sono la condizione principale affinché qualcuno resti o addirittura torni nelle aree interne. I servizi sono fondamentali: istruzione, salute e mobilità. – ha precisato l’esperto – E bisogna fare politiche di area che vadano oltre i confini amministrativi dei singoli Comuni. Il campanile è utile solo se ci saliamo sopra per guardare lontano.
Purtroppo hanno soppresso le Comunità montane, ma le leggi permettono forme di associazioni tra Comuni: autonomi sì, ma insieme. Basta con la fusione dei Comuni, ma puntiamo su forme associative, per esercitare funzioni e gestire servizi in forma associata, ma sempre restando autonomi. Il problema non è solo fare progetti e farli partire, ma è farli durare nel tempo».
Uno degli strumenti da mettere in campo, secondo il professor Pazzagli, è rappresentato sicuramente dalle cooperative di comunità. E proprio in Alto Molise ci sono esempi di cooperative di comunità che stanno investendo risorse in progetti capaci di dare opportunità per restare a vivere o addirittura per tornare nella aree interne.
Francesco Bottone