Lungaggini burocratiche, incapacità amministrativa e mancanza di lungimiranza, fanno sì che tre immobili comunali, Palazzo di Città, lo Chalet Belsito e dell’ex mercato coperto restano desolatamente chiusi. Ogni vicenda ha una storia a sé che non fa onore ad un paese in lizza per diventare capitale italiana della Cultura 2026. Si parte dal cuore del centro storico a due passi dal Caffè Letterario, in piazza Plebiscito, salotto della cittadina. Sul banco degli imputati, è il caso di dire, visto che in passato ha ospitato Pretura e carcere, il Palazzo di Città, antico immobile ristrutturato a ostello della gioventù con un’accogliente hall, sala ricevimenti, stanze da letto, cucine e angolo bar. Ebbene, dopo l’assegnazione ad un raggruppamento di imprese, una di Isernia, l’altra di Roma, aggiudicatrici della gestione per venti anni, non è dato sapere se i nuovi lavori di restyling previsti siano stati portati a conclusione e soprattutto quando aprirà i battenti. Sulla vicenda peserebbe, il condizionale è d’obbligo, la realizzazione di un centro di prima accoglienza per migranti. Insomma, una sorta di ‘giallo’ per un’area a forte dedizione turistica dove, inutile ribadirlo, scarseggiano posti letto e ricettività.
Si passa così ad un’altra opera che tutti vogliono ma nessuno si piglia, ovvero lo Chalet in località Tiro a Segno, struttura a forma di baita immersa nella natura, un tempo cuore della movida locale grazie alla reggenza della famiglia Di Toro che, a scadenza di contratto, restituì l’immobile al Comune. Seguì la gestione di Massimo Greco che diede nuova vita all’immobile inaugurato nel 1967 dall’allora ministro Remo Gaspari. Oggi lo Chalet Belsito, utilizzato nel periodo Covid come Centro tamponi, vive nell’abbandono più totale tra incuria e deperimento del fabbricato situato a poche centinaia di metri dal polo sportivo.
A dirla tutta, nel febbraio dello scorso anno, una ditta romana (la Federico Ferranti, ndr) rispose all’ennesimo bando emanato dal Comune salvo poi non presentarsi al momento della firma del contratto che prevedeva un fitto di 4800 euro annui per nove annualità. E pensare che in un recente passato manifestazioni di interesse sono arrivate dal noto Sorbillo di Napoli e dai titolari di un ristorante del posto con quest’ultimi interessati all’acquisto. In entrambi i casi – come raccontano voci di corridoio – le offerte non hanno soddisfatto l’amministrazione. Così meglio farlo cadere a pezzi che venderlo, l’amara conclusione.
In ultimo, non per questo meno importante, ci sono le ombre che avvolgono l’ex mercato coperto e già sede di call center che la famiglia D’Aloise, artigiani del rame, vorrebbe trasformare in un Museo della Bilancia con un progetto che rappresenterebbe un unicum nel meridione d’Italia. A riguardo innumerevoli le lettere tra le parti, che a distanza di anni, non sono riuscite a trovare un’intesa. Il Comune, a quanto pare, starebbe valutando l’ipotesi di convertirlo in sede delle Poste accorpando i due uffici (salita Verdi e piazza Unità d’Italia, ndr) esistenti. Un fatto da confermare, ma se veritiero non escluderebbe la convivenza di ambedue le proposte vista l’enorme grandezza dell’immobile. A patto lo si voglia.
Nel frattempo il tempo scorre e i tre immobili restano chiusi. Il tutto nel silenzio assordante di un’assise civica che vede i gruppi di minoranza totalmente dormienti su tematiche vitali per un Comune, il quale, ha la pretesa di divenire Capitale italiana della cultura 2026.