Nell’hackathon delle aree interne e rurali dell’Appennino l’Alto Molise è stato presente e ben rappresentato. Il professore Rossano Pazzagli, direttore della Scuola dei piccoli Comuni di Castiglione Messer Marino e docente dell’Unimol, ha preso parte, ieri sera, all’incontro a cura di “Give Back Giovani Aree Interne“, il think tank di studenti, ricercatori e professionisti per la rigenerazione delle comunità locali.
Prima di partire, che cosa è un hackathon? Si tratta di un neologismo preso in prestito dal mondo informatico che deriva dalla fusione delle parole “hack”, intesa come programmazione sperimentale e destrutturata, e “marathon”, maratona, sinonimo di resistenza fisica e mentale, come determinazione al raggiungimento di un preciso obiettivo, che in questo caso è la rigenerazione delle aree interne appunto.
«Non servono tanto progetti e finanziamenti, quanto una visione, dalla quale poi scaturisca una strategia di lungo periodo. Perché la soluzione non è tecnica, ma filosofica». Così il professore Pazzagli, sparigliando le carte come sempre, che ha portato poi all’attenzione dei numerosi partecipanti all’evento on line il “caso” di Castel del Giudice, in Alto Molise.
Grazie ad una intelligente commistione pubblico-privata, che ha visto e vede ancora l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Lino Gentile nel ruolo di promotore e partner di ogni progetto di rigenerazione, il destino che sembrava segnato di quel piccolo centro montano a cavallo tra Abruzzo e Molise è stato ripensato e riscritto. Il meleto biologico, il birrificio agricolo, la cooperativa di comunità per l’assistenza agli anziani, le vecchie stalle convertite in albergo diffuso, sono solo alcune delle cose ideate e realizzate a Castel del Giudice grazie al processo di rigenerazione avviato nel 2000. La visione, dunque, che va avanti da venticinque anni grazie ad una strategia fatta a sua volta di più progetti.
Il paese non è morto, «perché non esiste un destino ineluttabile» ha spiegato Pazzagli, mostra da tempo che «ci sono vie possibili per la rigenerazione dell’Appennino, di quelle che l’Europa chiama “aree remote”». Anche così si arresta lo spopolamento, quel processo in qualche modo indotto o almeno non ostacolato dalle istituzioni e che ha causato, negli anni ’50 e ’70, quella che il geografo Lucio Gambi ha chiamato una «alluvione demografica» verso la costa e i centri cittadini, a discapito appunto delle montagne di mezzo, quelle abitate per secoli nell’Appennino.
Pazzagli, confrontandosi con la giovane associazione di Bagnoli Irpino, è stato chiaro: «Non è possibile vivere o tornare a vivere nelle aree interne se non viene restituito loro il maltolto, cioè i servizi, quelli costituzionali, quali la sanità, l’istruzione e la mobilità. I piccoli Comuni sono stati espropriati di servizi. La Snai aveva in qualche modo intuito la centralità di questi tre filoni di intervento, scuola-sanità-mobilità, ma quella strategia pensata per le aree interne è stata poi “uccisa” dal Pnrr, che ne ha ribaltato ogni logica. Dal bandismo della Snai si è passati progettificio del Pnrr: non importa se serve realmente a quel territorio, l’importante è presentare un progetto e ottenere il finanziamento». E i “servizi” essenziali cui fa riferimento Pazzagli sono i medici, gli ospedali, i pediatri per avere diritto alle cure sanitarie, le scuole, anche con le pluriclassi, per avere garantito il diritto alla istruzione, e sono le strade e le infrastrutture, per potersi muovere liberamente e fare rete e sistema con i territori vicini e lontani.
«Nelle aree interne non ci saranno servizi fino a quando non ci saranno tanti nuovi abitanti. Questa è l’obiezione che viene mossa. – ha spiegato ancora Pazzagli – Ma perché se si è in tanti, in di più, si hanno più diritti? La Costituzione non dice questo, anzi dice il contrario e cioè che i cittadini sono uguali a prescindere da dove abitano e da quanti siano, se in montagna, in paese, in città o i sulla costa. Quindi i diritti vanno assicurati anche dove si è in pochi, altrimenti non sono più diritti».
E in merito alla autonomia differenziata, Pazzagli, sollecitato dalle domande degli organizzatori, ha precisato: «In Italia c’è effettivamente bisogno di politiche differenziate, ma intese in senso opposto a quanto ipotizzato dalla legge Calderoli. Servono politiche che privilegino i più deboli e bisognosi, come in una famiglia si aiutano di più i figli che sono in difficoltà e ne hanno più bisogno rispetto agli altri».
Ultimo tema toccato nel corso del webinar della rubrica “interactive Talk” quello delle energie rinnovabili, se e come possano rappresentare uno strumento di rigenerazione delle aree remote. «Più che una transizione si sta assistendo ad una speculazione energetica. Stiamo attenti, perché rinnovabili non significa necessariamente sostenibili. L’energia è un bene comune, invece in Italia e anche in Molise, si è dato campo libero alle multinazionali che rispondono esclusivamente alla logica dell’estrazione di profitto da un territorio. Spesso si tratta di progetti speculativi senza alcun coinvolgimento della comunità locale».
Francesco Bottone