Continua il viaggio de l’Eco alla scoperta dei personaggi illustri che hanno fatto la storia della cittadina altomolisana. Così grazie all’intervista di Italo Marinelli al figlio Sergio, ripercorriamo la vita del senatore Dc, Remo Sammartino, eletto quattro volte alla Camera dei Deputati e due al Senato. Tra aneddoti
“Sono un po’ preoccupato per questa intervista. Mio padre si confidava di più con i collaboratori politici che con i familiari” mi ha detto il mio compagno di scuola Sergio Sammartino, uomo di vasta e poliedrica cultura, attualmente docente di Storia e Filosofia al Liceo Classico Mario Pagano di Campobasso, quando gli ho chiesto di parlarmi della vita del suo genitore. Remo Sammartino, “il Senatore” per antonomasia, protagonista della vita politica regionale, fondatore della Democrazia Cristiana, figura carismatica, più e più volte Parlamentare della Repubblica Italiana.
Cominciamo dagli antenati, Sergio…
Il mio bisnonno Michele emigrò in Argentina ed il figlio Peppino a 14 anni faceva il postino a Buenos Aires. Poi fece una discreta fortuna gestendo un’agenzia di collocamento e tornò in Agnone dove costruì, in stile argentino, la casa di san Marco, con terrazze enormi ed il giardino sulla facciata. Due anomalie rispetto al canone architettonico agnonese. Con mia nonna Concetta Galasso aprì un negozio di rame e prodotti artigianali.
Poi arrivò tuo padre.
Penultimo di cinque figli. Suo fratello Sergio morì in guerra, sul fronte russo, come suo padre, aviere, vittima di un bombardamento ad Ancona durante il primo conflitto mondiale. Mia nonna fu contemporaneamente vedova di guerra e madre di un caduto al fronte.
I suoi studi.
Non era affatto portato per le attività manuali. Un artigiano locale dove fu messo come apprendista lo rimandò a casa con l’epiteto di “sucainchiostro” e quindi studiò dai Salesiani, a Frascati. Poi, ma già aveva cominciato a lavorare, si laureò in Giurisprudenza.
Il matrimonio.
Sposò Vera, che aveva adocchiato già quando era ragazzina, a 14 anni. Il padre era l’avvocato Pannunzio, socialista, antifascista, perseguitato dal regime, candidato alla Costituente con il PSI. All’inizio ci fu un certo attrito per le diverse posizioni politiche, ma quando mio padre fu eletto deputato l’avvocato si inorgoglì e nel ’49 si sposarono felicemente. Ebbero tre figli: mia sorella Maria Concetta, laureata e moglie di Giovanni Borrelli, medico stimato e benvoluto, e Giuseppe, manager di importanti aziende nazionali. Per ultimo sono arrivato io.
Come giudicava il regime fascista, nel quale era cresciuto?
Il regime fascista aiutò concretamente gli orfani di guerra, e la mia famiglia ne fu sempre grata. Come tantissimi giovani di allora poi confluiti nei vari partiti della prima repubblica, sia di destra che di sinistra, fu iscritto al GUF (Gioventù Universitaria Fascista), ma la sua formazione fu sostanzialmente di impronta cattolica.
Come avvenne l’incontro con la politica?
Per puro caso. Lavorava per la Camera di Commercio di Campobasso e si recava spesso a Napoli per commissioni varie. Un giorno fu incuriosito nel vedere dei signori, molto ben vestiti, che scaricavano delle casse di manifesti. Era materiale propagandistico della Democrazia Cristiana. Mio padre veniva dall’Azione Cattolica, fu come illuminato e manifestò il suo interesse; superato l’iniziale timore di trovarsi di fronte a una spia o ad un infiltrato, i signori, che erano in realtà alti dirigenti del partito di De Gasperi, gli chiesero di portare il materiale a Campobasso. Così si mise in contatto con il nucleo iniziale, per lo più notabili già in contatto con i vertici del nuovo partito, ed entrò a pieno titolo tra i fondatori della DC molisana. Lui lo fece da figlio del popolo.
L’inizio di una lunga carriera.
Fu ininterrottamente parlamentare dalla prima alla sesta legislatura, dal 1948 al 1978, quattro volte come Deputato, poi come Senatore. Sottosegretario ai Trasporti in uno dei Governi Rumor. Infine Sindaco di Agnone.
Quali erano i suoi riferimenti a livello nazionale?
De Gasperi, naturalmente, Gonnella, Amintore Fanfani, alla cui corrente aderì. Era molto amico del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Ed i suoi “fedelissimi” in Agnone?
Filippo D’Aloise, “il Cavaliere”; Lelio Iannelli, Biase Amicarelli, il commendatore Vincenzo Meccia, Peppino Camperchioli, i Bianchini, “ru mifar”. I Galasso, con cui esisteva un forte legame familiare.
Aveva un blocco sociale di riferimento?
In realtà le DC era un partito interclassista, a Agnone lo votavano tutti. A Campobasso raggiunse le 28mila preferenze.
I temi su cui si è maggiormente impegnato?
Innanzitutto la viabilità. Ricorreva ad ogni mezzo lecito per ottenere finanziamenti per le opere stradali. Una volta portò al Ministero dei Trasporti un gruppo di Agnonesi che si trovavano a Roma per un pellegrinaggio presentandoli al Ministro come una delegazione di Sindaci Alto Molisani, per ottenere maggiore attenzione. Considerava le strade l’autentico volano per lo sviluppo. Il suo pallino era il collegamento rapido con Pescara. Il progetto della galleria sotto Monte Sant’Onofrio fu boicottato dal suo stesso partito, pur di non dargli ragione. Diceva sempre che il politico deve avere il coraggio di osare, chiedere dieci per avere due. Se non fosse stato per il suo impegno ancor oggi dovremmo arrivare fino a Cassino per prendere l’autostrada.
Ricordo che anche noi a sinistra non gli facevamo sconti. Etichettammo il viadotto di collegamento verso Isernia come “il ponte di salsiccia”.
Eppure è servito, e comunque si inseriva in un progetto più ampio rimasto incompiuto. Poi la sanità, si è battuto sempre per l’Ospedale di Agnone.
Un’altra battaglia fu quella per l’istituzione della Regione Molise e della provincia di Isernia.
Sì, considerava l’autonomia una possibilità di sviluppo, ma più tardi ha avuto la lucidità di capire che i tempi erano cambiati e di riconoscere la validità del modello delle macroregioni.
Conservo alcuni dei suoi scritti, che aveva la gentilezza di farmi recapitare, con dediche ed lettere di esortazione.
E’ stato autore diverse pubblicazioni. Alcune erano raccolte dei discorsi parlamentari, ma ne voglio ricordare due in particolare: “Agnone nella storia della sua Chiesa Madre”, San Marco, nelle cui mura è scritto il passato del nostro paese, e “Il Molise dalla ricostruzione allo sviluppo”; chiunque ambisca ancor oggi a fare politica in regione farebbe bene a studiarlo. Gli anni della ricostruzione furono entusiasmanti. Quando si apriva un ufficio postale o si asfaltava una strada in paese si faceva festa con la banda in piazza.
I suoi comizi sono rimasti indimenticabili.
Lo lodavano molto per il suo saper parlare. La sua oratoria oggi sarebbe definita desueta, ma all’epoca effettivamente era un modello di eloquenza; era molto creativo ed immaginifico.
Con gli avversari era duro, a volte sferzante.
Qualcuno lo ha definito acrimonioso, ma non sopportava chi lo criticava e non le mandava a dire. Lo faceva perché non riusciva ad accettare che ci fosse chi, per pregiudizi o interessi personali, si opponeva alla sua volontà di operare per il bene del paese..
E’ rimasta storica la rivalità con l’onorevole Bruno Vecchiarelli, anche lui democristiano, della corrente dorotea.
La visse con amarezza, perché alcuni nel suo paese non riconoscevano quanto aveva fatto per Agnone.
“Capammond” e “Capabball” era la definizione dialettale delle due correnti democristiane, perché?
Ovviamente per motivi geografici, mio padre ha sempre abitato a San Marco, sull’acropoli.
Una delle accuse fatte alla DC era quella di fare clientelismo, di dispensare raccomandazioni e posti pubblici.
Oltre alle opere pubbliche effettivamente ha fatto moltissimi favori per tanti compaesani. Era un modo per aiutare la gente e sistemare intere famiglie, anche se si sono moltiplicati posti pubblici talora non produttivi.
Alla fine ruppe con la DC e con una lista civica, “Il Campanile” divenne sindaco di Agnone con l’appoggio della sinistra.
Sì, era stanco delle pastoie e degli ostacoli che gli venivano frapposti e ci fu una rottura clamorosa, anche se successivamente il partito lo “riabilitò” ed ha avuto la grande soddisfazione di morire democristiano.
Nonostante la presenza di ben due parlamentari, nel dopoguerra Agnone ha comunque subito un costante decremento demografico.
In realtà si è trattato di un fenomeno è stato comune a tutte le zone interne d’Italia, e l’impegno per l’istituzione ed il mantenimento dei vari servizi pubblici lo hanno quantomeno rallentato.
Come giudicava le degenerazioni della prima repubblica, la nascita della “casta” dei politici, la deriva di Tangentopoli?
All’epoca un deputato guadagnava un decimo di quanto percepisca oggi un consigliere regionale.. A casa mia ci potemmo permettere l’impianto di riscaldamento solo nel 1970. Mio padre era scandalizzato dei privilegi ottenuti dai politici e dagli sprechi. “Stanno facendo pane latte e cucchiara” diceva. Condannava fortemente la degenerazione tangentizia. Quando il rappresentante di una ditta Toscana che aveva realizzato importanti opere pubbliche si recò da lui con l’assegno in bianco offrendogli una “percentuale” lui rifiutò, ma aggiunse che l’ospedale di Agnone era sprovvisto di auto-ambulanza e la ottenne in dono.
di Italo Marinelli