Sta per calare il sipario sull’ospedale di Agnone. Con il Pronto Soccorso e il reparto di Medicina ad un passo dalla chiusura, se ne va anche l’ultima briciola di dignità sanitaria per un territorio che, un tempo, rappresentava un modello per l’intera regione. Non un presidio, non un poliambulatorio: stiamo parlando di un ospedale vero, che oggi muore in silenzio, privato dell’essenziale. Quello che sta avvenendo ad Agnone è molto più di un depotenziamento: è uno scippo, l’ennesimo, legalizzato da Regione Molise e Asrem, che smantellano sotto gli occhi di tutti l’ultimo avamposto di un diritto costituzionale — quello alla salute — ormai trasformato in una chimera per chi vive nelle aree interne.
Ma ciò che più colpisce non è l’arroganza istituzionale con cui si porta a compimento questa operazione chirurgica al cuore di un intero territorio. Ciò che sconcerta davvero è il silenzio. La resa. La rassegnazione. Un popolo intero, abituato ormai a subire, ha smesso di lottare. Troppe le promesse, troppe le illusioni servite in campagna elettorale come sedativi. E oggi il risultato è questo: una comunità in apnea, che accetta l’agonia come se fosse inevitabile.
Eppure, non è sempre stato così. Il 26 marzo del 1993, ad esempio, Agnone e tutto l’Alto Molise scrissero una pagina di dignità e di coraggio collettivo. Fu la storica “Vertenza per non morire”, una mobilitazione di massa che vide scendere in piazza un intero popolo. In testa i sindacati — Cgil, Cisl e Uil — che seppero parlare con una sola voce e farsi carico della rabbia, delle paure, ma anche della speranza di chi abitava nelle aree interne. Quella manifestazione bloccò decisioni scellerate e dimostrò che, quando la lotta di classe si traduce in azione concreta, nulla è davvero perduto. Ma quello era un altro tempo, un altro Molise. E, soprattutto, un’altra gente.
Dove sono oggi quei sindacati? Dove sono le grandi sigle che un tempo sapevano mobilitare, informare, guidare? Il loro silenzio è assordante. Imbarazzante. Le stanze del potere sono diventate confortevoli, la voce si è affievolita, la connessione con il territorio si è spenta. E nel vuoto lasciato dal sindacato si è fatta strada l’apatia.
Dove sono i giovani? Dove sono coloro che dovrebbero sentire sulla pelle il bruciore di questo sfregio? In larga parte assenti, anestetizzati da un presente fatto di social, drink e indifferenza. I problemi seri sono lontani anni luce dai tavolini dei bar, dove si preferisce commentare, scrollare, lamentarsi e poi voltarsi dall’altra parte. È il dramma di una generazione che sta crescendo senza radici, disinteressata al futuro del proprio paese perché nessuno ha più insegnato loro a difenderlo.
E la Chiesa? Quella che in tempi non lontani — pensiamo all’epoca del compianto monsignor Santucci — sapeva farsi sentire, denunciare, scendere in campo? Anche da lì, nessun segnale. Nessuna parola. Nessun gesto. L’istituzione che più di tutte dovrebbe avere a cuore la vita e la dignità delle persone, sembra oggi spettatrice muta di un declino che coinvolge tutti.
Sullo sfondo, gli amministratori locali. Invece di battere i pugni, di alzare la voce, li si vede intenti a coltivare il proprio orticello. Tra inaugurazioni di aiuole, marciapiedi e selfie istituzionali, manca una visione, manca il coraggio, manca la voglia — o forse la capacità — di essere classe dirigente e non solo gestori del quotidiano. Così facendo, stanno contribuendo alla desertificazione di un intero comprensorio, condannandolo all’irrilevanza.
Agnone non è un caso isolato, è il simbolo di un Molise che si svuota, che invecchia, che chiude. Ma ad Agnone il colpo è particolarmente duro perché qui, più che altrove, la gente ci aveva creduto. Aveva sperato. Aveva investito. E ora, di fronte all’ennesimo scempio, non trova più la forza di ribellarsi. Forse perché nessuno gliel’ha insegnato, o forse perché ha capito che la lotta, da sola, non basta se non c’è un’alleanza collettiva, un sussulto civile, un’urgenza condivisa.
E allora questo editoriale non vuole solo denunciare. Vuole anche scuotere. Vuole ricordare che la sanità non è un favore, ma un diritto. Che tacere oggi significa essere complici. Che indignarsi è giusto, ma agire è necessario. Perché se oggi muore un ospedale, domani muore una scuola, dopodomani un ufficio, e alla fine muore un paese.
È il tempo di scegliere se continuare a restare in silenzio o se, rialzare la testa.
Maurizio d’Ottavio