In Italia ci sono diecimila incidenti stradali – di cui quasi 400 in Abruzzo – all’anno causati da animali selvatici con 13 morti nei primi nove mesi del 2019 contro gli undici registrati in tutto l’anno precedente. E’ quanto emerge da una stima di Coldiretti su dati Regioni e Osservatorio Asaps in occasione del blitz di questa mattina davanti a Montecitorio di migliaia di agricoltori, allevatori, cittadini, esponenti istituzionali, ambientalisti e sindaci contro l’invasione dei cinghiali e degli animali selvatici. Dall’Abruzzo il presidente regionale di Coldiretti Silvano Di Primio, i presidenti provinciali Angelo Giommo (l’Aquila), Emanuela Ripani (Teramo) e Pier Carmine Tilli (Chieti), i direttori delle federazioni regionale e provinciale e tanti agricoltori ed allevatori insieme all’assessore regionale Emanuele Imprudente, al deputato Camillo D’Alessandro e a decine di sindaci dei Comuni più colpiti con i gonfaloni e le fasce tricolore.
Il numero di incidenti gravi con morti o feriti per colpa di animali è aumentato in Italia del 81% sulle strade provinciali nel periodo 2010-2018 secondo l’analisi Coldiretti su dati del rapporto Aci Istat. E l’Abruzzo in questo scenario non fa eccezione: secondo Coldiretti regionale sono infatti circa 400 (tra denunciati e non denunciati) gli incidenti che, annualmente, sono provocati dalla fauna selvatica nelle quattro province: circa un incidente al giorno.
«Una vera e propria emergenza che mette a rischio la sicurezza e la salute degli automobilisti a causa della circolazione di animali selvatici e di cinghiali, che possono arrivare a un quintale e mezzo di peso e 150 centimetri di lunghezza. Una paura – evidenzia Coldiretti – che dilaga dalla montagna alla pianura, dalle zone vicino ai fiumi fino a quelle sul mare. Gli incidenti causati dai cinghiali fanno registrare danni altissimi fra costi per riparazioni meccaniche e di carrozzeria alle auto e spese sanitarie per le persone rimaste ferite e contuse».
«Ma si tratta – evidenzia la Coldiretti – solo della punta dell’iceberg perché molti non denunciano scoraggiati dalle lungaggini burocratiche e dalle condizioni poste dalle assicurazioni come ad esempio, oltre alle tracce sulla vettura e sull’asfalto, anche il rinvenimento della carcassa dell’animale con il quale ci si è scontrati. All’automobilista, sempre che non debba essere portato in ospedale, non rimane che chiamare il carroattrezzi e rassegnarsi a pagare i danni senza neppure poter denunciare l’accaduto considerata la mancanza di prove. Non è più solo una questione di risarcimenti ma è diventato un fatto di sicurezza delle persone che va affrontato con decisione”, dice Coldiretti Abruzzo – perché la questione è destinata a peggiorare».
Secondo Coldiretti il numero dei cinghiali è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, salendo a 2 milioni in Italia e oltre 100mila in Abruzzo con particolare riferimento alle zone interne e montane.
«Nella dorsale appenninica le popolazioni di cinghiali guadagnano terreno rispetto alla presenza umana con una concentrazione media di un animale ogni cinque abitanti in una fascia territoriale segnata già dalla tendenza allo spopolamento per l’indebolimento delle attività tradizionali. – dice Coldiretti – L’eccessiva presenza di selvatici rappresenta un rischio sia per le persone che per l’agroalimentare italiano tra formaggi, salumi e prodotti a base di carne, vini, panetteria e pasticceria. In Abruzzo sono a rischio colture tradizionali come la vite, i cereali, il pregiato zafferano, i tartufi ma anche tantissime varietà di ortaggi solo per fare qualche nome e rendere l’importanza di un “tesoro messo in pericolo – dice Coldiretti Abruzzo – dall’avanzata dei cinghiali che sempre più spesso in queste aree si spingono fin dentro i cortili e sugli usci delle case, scorrazzando per le vie dei paesi o sui campi, nelle stalle e nelle aziende agricole».
Coldiretti ricorda che «c’è chi si è trovato un centinaio di cinghiali a pochi metri dalla porta di casa; c’è chi raccoglieva il mais di sera col trattore seguito passo passo dal branco che mangiava le pannocchie rimaste senza essere neppure disturbato dal rumore; c’è chi ha visto i cinghiali arrampicarsi sulle vigne per mangiare l’uva o scavare alla ricerca dei pregiati bulbi di zafferano. Una situazione che costringe ormai le aziende a lasciare i terreni incolti, stravolgendo l’assetto produttivo delle zone. La proliferazione senza freni dei cinghiali – continua la Coldiretti – sta mettendo anche a rischio l’equilibrio ambientale di vasti ecosistemi territoriali. Studi ed esperienze relative all’elevata densità dei cinghiali in aree di elevato pregio naturalistico hanno mostrato notevoli criticità in particolare per quanto riguarda il rapporto tra crescita della popolazione dei selvatici e vegetazione forestale».
Dal primo Dossier Coldiretti/Ixè sull’emergenza animali selvatici in Italia, presentato questa mattina a Roma da Coldiretti, emerge che oltre otto italiani su 10 (81%) pensano che l’emergenza cinghiali vada affrontata con il ricorso agli abbattimenti, soprattutto incaricando personale specializzato per ridurne il numero.
«Le preoccupazioni dei cittadini – ricorda Coldiretti regionale – sono fatte proprie dalle amministrazioni territoriali come dimostrano le ultime posizioni assunte dai sindaci e dagli amministratori sui territorio, a partire dalla Regione Abruzzo che ha già definito i selvatici “una vera e propria emergenza” e dalla presenza oggi di tantissimi Comuni».
Secondo Coldiretti «è necessario quindi ridurre i danni provocati dalla fauna selvatica capace al contempo di creare occupazione nelle aree più colpite dal fenomeno. Occorre innanzitutto semplificare la normativa attuale responsabilizzando gli enti locali per effettuare interventi per il contenimento del numero dei cinghiali che abbiano anche un impatto positivo sull’ambiente. Dalla carne degli animali abbattuti potrebbe inoltre nascere – propone Coldiretti – una filiera di prodotti, riuniti sotto un marchio collettivo, che rappresenterebbe un’occasione di crescita e lavoro, valorizzando i macelli aziendali o pubblici dei piccoli comuni, spesso chiusi». Ciò consentirebbe tra l’altro – conclude Coldiretti – di «porre fine al proliferare del commercio di carne di cinghiale in nero, macellata in strutture clandestine e priva di qualsiasi garanzia di carattere sanitario, che finisce sulle tavole di ristoranti e sagre mettendo a rischio la salute dei cittadini».