• Editoriale
  • Brexit

    Con questo termine che letteralmente significa uscita dalla Gran Bretagna, gli assetti politici, economici, sociali non solo dell’Europa, ma del mondo intero, si sono profondamente modificati, anzi, addirittura sconvolti.

    La volontà di ribadire la uscita della Gran Bretagna dall’Europa    –   con la quale, peraltro, si erano verificati secoli di alleanze militari, politiche, sociali ed economiche, fino alla seconda guerra mondiale, in particolare, tra Francia, Gran Bretagna, non Italia e Germania che costituirono una parentesi accidentale davvero impazzita del cammino dell’Europa, la cui unità, come già più volte ebbi a raccontare, risale a molto prima del famoso manifesto di Ventotene e risalendo, addirittura, alle visionarie considerazioni di Vincenzo Cuoco, che nel Platone in Italia parlò di questa fantastica avventura comune, dove le guerre interne confluirono sempre in trattati che rassodarono alla fine i rapporti tra nazioni e durante i quali vi fu una esaltante storia artistica comune come ad es. il goticismo (basti ricordare le guglie di Rems, di Colonia, di Berlino, di Vienna, di Notre Dame de Paris ed altro      – è stata enfaticamente, solennemente, permanente e, persino con quale spunto di stizza e di ira, pronunciata da Teresa May, diventata, dopo il referendum, voluto da Cameron, Presidente del Consiglio dei Ministri inglese.

    Una donna forte, non turbata dagli eventi, anche gravi, verificatisi in Inghilterra, anche a Londra, anche nel marzo dell’anno corrente, in cui un uomo, Khalid Masood, lungo le strade londinesi nei pressi del Tamigi, uccideva spietatamente alcuni inermi passanti, andando, poi, a sbattere contro le mura del più antico parlamento mondiale ovvero Westminster.

    La May sembra essere lei stessa uscita dal palazzo, ufficialmente per raggiungere la protezione di alcune macchine della polizia (tra cui sbagliò a trovate quella giusta) ma, in realtà, preoccupandosi di soccorrere le agonizzanti vittime del folle gesto di Khalid Masood, uno degli ultimi, tragici apostoli della follia omicida dell’ISIS.

    La cosa, peraltro, non è del tutto assodata, perché la Scozia vuole a tutti i costi riaprire la strada del Referendum, non avendo intenzione di abbandonare l’Europa, con la quale vi sono potenti interessi economici, soprattutto in materia finanziaria, economica, turistica e politico-sociale.

    Ma la May è ferma nel rintuzzare tutte le ragioni portate dalla Scozia, ed invocando energicamente la irrevocabilità del art.50 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, secondo cui : ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali”, che consente ai membri dell’Europa di sganciarsi dal contesto unitario, voluto dai padri costituenti effettivi del 25 marzo 1957 e di cui si è celebrato il 60 esimo anno nei giorni scorsi in una imponente cornice capitolina, in cui sono convenuti 27 capi di Stato europei, tutti allegri, pimpanti, entusiasti di rinnovare, come del resto hanno rinnovato, la firma del trattato, tra cui – mi si consenta la celia narrativa – una Angela Merkel, con un impeccabile tailleur giallo che all’ingresso del Campiglio, e incontrando la Raggi, le domandava “ma lei è la sindaca di Roma ?”, quasi a sbeffeggiarla per un atteggiamento non proprio conforme tenuto non solo in occasione del ricordo dei trattati di Roma, ma, anche, di un’altra occasione istituzionale.

    Non si può dire che i rapporti con il Regno Unito siano rimasti idilliaci anzi la cosa che più spaventa è che colui che ha guidato il referendum in senso vittorioso pro Exit, Nice Farage – un populista acceso, indomito; è giunto a dire, quale autentica espressione della perfida Albione, così come il nostro condottiero chiamava spregiativamente l’Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, in cui uno straordinario capo di Sato Winston Churchill esercitava la sua mirata ed illuminata gestione – ha aperto una straordinaria campagna contro l’Europa, invitando tutti gli Stati Europei a seguirlo nella uscita dall’Europa.

    Il che significa che i suoi intenti, verosimilmente, come quelli dell’intero gruppo che lo sostiene e che lui conduce, sono di una scarsa reputazione dell’Europa, della sua unità, di questo straordinario caleidoscopio di culture,di indirizzi politici, di economia che l’Europa ha sempre rappresentato tra i grandi continenti della terra.

    Naturalmente costerà molto al Regno Unito la uscita dall’Europa.

    E’ vero che non pagherà più i pesanti tributi millesimali che le spettavano, e che erano stati già stabiliti dal famoso trattato di Lisbona, ma riceverà dei contraccolpi severi per quanto riguarda la esportazione delle merci e dei servizi, che costituisce uno degli assi forti della bilancia dei pagamenti britannica.

    Naturalmente gli organi consiliari dell’Europa, ovvero quelli insediatisi tra Lussemburgo e Belgio, sono fortemente in guardia, e, pur essendosi creati dei malumori nell’interno dell’Europa e fra tutti gli stati membri che nel recente trattato di Roma del 26 marzo e nell’incontro avuto a Malta qualche giorno dopo, hanno non solo ribadito la loro autonomia, ma hanno respinto quale attacco ai loro orgogli nazionalistici, ogni forma di economia a doppia o addirittura a tripla velocità.

    Ribadendo il principio che, comunque, le velocità devono essere paritarie e devono tutte garantire ed assicurare il raggiungimento della pari crescita economica e sociale delle varie popolazioni.

    E’ ben lontano, purtroppo, l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa, espressione,questa, che per la prima volta apparve, come detto nel manifesto di Ventone degli anni 40, ovvero nel manifesto di Altiero Spinelli, di Rossi, ed altri.

    Noi, però, continuiamo a sognare l’Europa nella forma più completa della sua unione, ovvero gli Stati Uniti d’Europa, a cui personalmente dedicai un Congresso, che era allo stesso tempo un vaticinio, nell’anno 1995.

    Franco Cianci     

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